La vita

Un fiore tra gli sterpi Avviene, talvolta, d’incontrare un bel fiore in una sterpaia. Alla gioia provata…

Un fiore tra gli sterpi

Avviene, talvolta, d’incontrare un bel fiore in una sterpaia. Alla gioia provata di fronte a quella espressione di bellezza, che il contrasto accentua, succede la meraviglia. Ci si domanda come mai un terreno così ostile abbia potuto alimentare un gambo così delicato, dai petali così fini. E si pensa al caso. A un’aiuola curata amorosamente, da cui abbia rubato qualche seme un soffio di vento o un’ape nell’atto di suggere il nettare dal calice di un fiore.

Anche nel campo spirituale capita lo stesso. In un ambiente di gretti interessi terreni, di egoismi, di bassezze, sboccia un fiore di virtù, uno di quei miracoli della Grazia, che lasciano attoniti e invogliano al bene. Un miracolo della Grazia, non un caso fortuito. E’ il Signore, il paziente cultore della Mistica Vigna, che alimenta tali fiori, proteggendoli dalle infezioni della zizania, e irrorandoli di benedizioni celesti.

Nata in un’epoca, in cui si guardava alla fede e alla Virtù come a miti di secoli passati, e norme di vita erano i dettami di una scienza positiva e materialistica, Filomena Giovannina Genovese, docile alle cure del Divino Giardiniere, spande il suo profumo dal. segreto della sua vita umile e nascosta. La sua esistenza è intessuta di bontà e di amore divino. Le sue virtù caratteristiche sono tra le più belle e le più rare : la Purezza e il Sacrificio, impreziosite dal nascondimento in cui furono praticate. Ella si potrebbe raffigurare in un giglio screziato1 di sangue, che elevi la sua corolla odorosa verso Vazzurro del cielo. Un Fiore raro e di breve durata, perchè il Signore, invaghito della sua bellezza, lo svelle per tempo dalla terra, per trapiantarlo in cielo.

Luci dell’alba

Patria della Serva di Dio fu Nocera dei Pagani, nell’Agro del Sarno, a metà strada tra Napoli e Salerno. La storia di questa città fiorente è ricca di avvenimenti e di vicende che fan parte della più grande storia dei Pelasgi, degli Etruschi, dei Sanniti, dei Romani, dei Longobardi, degli Svevi e degli Angioini. Restano ruderi di un castello edificato da Carlo I d’Angiò che fra gli altri ha ospitato Papa Urbano IV.

Ma glorie più belle ha Nocera nel campo religioso. Ebbe a primo Vescovo quel S. Prisco, di cui parla S. Paolino di Nola nei suoi carmi. Diede i natali al vescovo francescano, S. Ludovico di Tolosa, che, figlio appunto di Carlo I d’Angiò, nacque nel castello angioino già nominato. Fu campo preferito dell’apostolato di S. Alfonso M. dei Liguori. Infine Nocera ha l’ultima sua gloria nell’essere stata culla di Filomena <?iovannina Genovese..

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Nacque la Serva di Dio il 28 ottobre 1835 da Paolo Genovese e Maria Petrosino, due coniugi che alla nobiltà dei natali univano un’esemplare osservanza delle pratiche religiose. Ottava nella seria di ben undici figli, Filomena dimostrò già prima della nascita di essere una creatura privilegiata. Nel periodo della sua gestazione infatti, la madre, che pure aveva tanto sofferto per le precedenti gravidanze, non ebbe ad avvertire il minimo disturbo e provava come un bisogno di trattenersi più a lungo in preghiera. Venendo alla luce poi recò un sorriso di benedizione anche nella natura : un furioso temporale cessò per incanto.

Viene recata al Battesimo il giorno seguente, facendole da madrina la zia materna, Filomena, la quale dopo la cerimonia, la offre alla Madonna del Carmine : « O Vergine Santa, siate Voi madre a questa bambina; la madre ne sia soltanto nutrice! ». « La Vergine ha accettato », pensarono i familiari, i quali appunto alla protezione della Madonna ascrivevano la calma singolare della bambina, che piangeva e si dimenava solo quando qualche uomo tentasse baciarla. Particolare interessante quest’ultimo, che era come un’anticipazione del profumo verginale che doveva spirare la sua giovinezza. In altro modo dimostrò la bambina di essere segnata dal dito di Dio, non prendendo latte il mercoledì, il venerdì e il sabato. Sembrerebbe impossibile se non avessimo del fatto la testimonianza esplicita dei familiari.

Naturalmente i vicini, venuti a conoscenza delle qualità eccezionali della neonata, si recavano in casa Genovese per vederla e carezzarla. Una donna poi, colpita in modo singo-

lar· dalla sua placidezza angelica e sembrandole insufficiente il tempo della sua visita a contemplarla, pensò bene un giorno di condursela in casa all’insaputa dei genitori! E quando, dopo ricerche angosciose, – mentre tutta la famiglia era in lacrime ed in apprensione – una serva di casa Genovese rintracciò la bambina, colei che l’aveva rapita mostrò di non pentirsi del suo gesto. Lo trovava, anzi, naturalissimo, perchè, diceva, quelPangioletto non apparteneva solo ai genitori- A otto mesi, poi, presentala alla statua di S. Antonio – condotta nel cortile del palazzo durante una processione – la piccola Filomena si avvinghiò al suo collo e la baciò più volte. Era anche questo un presagio della futura straordinaria devozione della Sena di Dio verso il Santo di Padova.

E quale fu la prima parola di questa fanciulla eccezionale? La mamma spiava i movimenti delle sue tenere labbra, aspettando di sentirne sbocciare il suo nome. Invece la bambina, un giorno che sua madre più insisteva per farle sciogliere la lingua, pronunziò distintamente e più volte : « Ave Maria ». La Madonna le faceva veramente da Madre.

L’invito dello sposo

I germi di santità che la piccola Filomena recava neiranima cominciarono a svilupparsi per tempo. Àncora tenera di età – tre anni

appena – sa imporsi delle privazioni in fatto di cibo, abbonisce dalle leggerezze e. 4àlÌe. vanità proprie della fanciullezza. Un giorno anzi è sorpresa da un fratello davanti allo specchio mentre tenta di recidersi la chioma. Al contrario degli altri bambini non ama giocattoli e bambole. Unico suo divertimento, stringere al petto una piccola statua di Gesù Bambino e portarla in giro per farl$ baciare dai. suoi. Ascolta rapita i racconti del Vangelo e le vite dei Santi. E una volta si presenta alla mamma abbigliata come S. Rosa da Lima – veste scura e corona di rose – esprimendole il desiderio di essere santa.

A scuola – ci fa sapere la maestra, la zia che Tha tenuta a battesimo – fa prodigi. Impara bene e subito a cucire, a ricamare, a confezio* nare fiori artificiali. Con sempre maggiore interesse ascolta storie di Santi e lezioni catechistiche.

Il primo incontro con Gesù Eucaristia avvenne quando aveva sei anni appena: un piccolo angelo biancovestito raccolto e trasfigurato. La prima Comunione fu per la sua pietà ciò che l’olio è per la lampada. Da quel giorno teneva tale un atteggiamento in chiesa che chiunque la vedesse si sentiva spinto a raccogliersi e pregare.

Nè si limitava, la pia fanciulla, alle preghiere. Anche opere di carità compiva, regalando, per esempio, la colazione al primo povero che incontrasse per strada. Un sentimento di vera carità che una sera d’inverno la spinse a correre in aiuto di un povero bimbo quattrenne che correva rischio di essere travolto dalie acque impetuose della vi^ sottostante la. sufteasa.

?

Fu un fatto eroico quello, superiore alle sue forze – una bimba di sette anni – che ha del miracoloso!

Ma la maturità spirituale di quest’anima balza evidente dal racconto di un’operazione chirurgica dolorosissima che la Serva di Dio dovette subire: l’asportazione di una escrescenza ossea che le si era venuta formando sotto lo zigomo sinistro e che le impediva di masticare senza sofferenza acute. Ella si sottopose ai ferri chirurgici rifiutando qualsiasi anestetico. Volle essere operata a crudo. E mentre alcune sue compagne che Passistevano, svennero .Ola vista del sangue che le usciva in abbondanza dalla bocca, ella non emise un lamento, contentandosi di fissare Gesù crocifisso e di ineditarne la Passione. Era felice di compiere, secondo la espressione paolina, sul suo corpo ciò che manca alla Passione di Cristo. Nè ie sue sofferenze terminarono- con l’operazione, ma si estesero a tutto un periodo di cura, intesa a rimarginare la ferita praticata con l’applicazione del nitrato d’argento. Un mese intero di dolori inauditi sopportati in silenzio e col sorriso sulle labbra.

Fatta degna di partecipare ai dolori di Gesù, ella sente nascere nel cu-ore il desiderio di ritirarsi nella solitudine, per restare seinpre nella compagnia dello Sposo dell’anima sua. Nel suo entusiasmo per l’idea che le è balenata, formula il piano di andarsene su di un monte e lo comunica ad un sua amica.

Gon eguale calore costei aderisce alla proposta ed ambedue una sera prendono la via dellà montagna. Provvidenzialmente aH’amica della Serva di Dio venne il dubbio che il loro gesto fosse inconsiderato. E della fuga non ne

 fu niente. Ma se non aveva potuto raggiungere la solitudine materiale, Filomena già possedeva quella spirituale. Si sentiva già distaccata da quanti la circondavano, genitori compresi, e unicamente legata a Colui che parla ai cuori, che si mantengono lontani dal frastuono,

Sempre più In alto!

Ma alla sua anima mancava ancora il con* tatto con lo Spirito Santo, che vivifica od irrobustisce. Ricevette la S. Cresima nel 1851, mostrando, in seguito una trasformazione sensibile; specialmente una parola più ardente e persuasiva, riguardo alle cose celesti.

Ma Peffetto più notevole di questo nuovo passo sulla via della pietà fu la consacrazione che di se stessa fece a Dio, con voti semplici di povertà, castità e obbedienza. Fu nel giorno di Pentecoste di quello stesso anno. Ella era in compagnia di altre pie giovanette. Ma tra1 queste si distingueva per il fervore particola^ e per la gioia che mostrava anche alPestemo; « Il suo volto divampava da sembrare un Serafino », lasciarono scritto le sue amiche. Per lei fu una gran festa quella, perchè con remissione dei voti compiva ufficialmente la sua consacrazione a Dio, che già aveva effettuato in segreto fin da bambina, ed anche perchè sj sentiva difesa dai santi voti come da una barriera contro gli assalti del male.

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Per mantenersi costantemente nel clima spirituale delle anime privilegiate, la Serva di Dio usava i due mezzi potenti, che elevano

  1. spirito 9 tengono ubbidiente la carne: la preghiera e il lavoro.

La sua vita è una continua preghiera, perchè ogni suo atto ella indirizza a Dio. Ma è in chiesa che in modo particolare dà libero sfogo alla sua pietà e ritempra lo spirito nell’orazione. Davanti a Gesù Sacramentato si e- stranea completamente da tuttto ciò che la circonda, per cui non ode se qualcuno la chiami. Chi ebbe la fortuna di conoscerla ci ha laudato detto che durante il ringraziamento alla Santa Comunione restava come in estasi e tutta accesa in volto. Non contenta di cibarsi ogni giorno delle carni deirAgnello Immacolato, essa prolunga e rende continua la sua unione con Gesù» mediante pii affetti e desideri. Spesso – e qualche volta di notte e nonostante il freddo e la pioggia – si reca sulla loggetta di casa che affaccia su un Iato della chiesa di S. Matteo, per pregare più da vicino il suo Gesù, per sentirne la presenza. E se le avviene di vedeie la lampada spenta in chiesa, ne accende una sulla loggetta per sostituirla.

E la devozione alla Vergine? Nella pietà delle anime sante essa è inseparabile dall’amore a Gesù. La Serva di Dio ne era presa tutta. Oltre

  1. Rosario che recitava ogni giorno e le canzoncine che faceva echeggiare per la casa, usava praticare, con digiuni e preghiere speciali, le novene precedenti a tutte le feste della Madonna.

Un’altra bella devozione – così rara purtroppo tra i fedeli – la nutriva per ì’Angelo Gusto-

de. (Questo iPrincipe di luce che Iddio ha messó a fianco di ognuno di noi, non era per lei un

vago ricordo. Era una consolante” realtà. A lui si rivolgeva in ogni occasione diffìcile, nei momenti di sconforto, per invocarne l’aiuto. E la mamma ci fa sapere che dall’Angelo Custode impetrava ed otteneva l’immediato ritorno a casa di suo padre quelle volte che egli facesse ritardo.

Di condizione agiata, Filomena non aveva bisogno del lavoro come mezzo di sosténta- mento. Tuttavia ella fu un modello di laboriosità, perchè nei lavoro vedeva un’arma spirituale, un mezzo per tenere in soggezione le prave inclinazioni della carne. Sua madre ci traccia il diario della giornata della Serva di Dio. Ci fa sapere che si addossava la pulizia di tutta la casa : rifaceva gli otto o nove letti- delia famiglia, spolverava, rassettava con una lena che non si sarebbe creduta comportabile col suo fisico delicato. Lavava anche la biancheria, durando ore ed ore al lavatoio, magari sotto la pioggia, o resistendo all’ardore del sole o alle sferzate del vento. E se sua madre la pregava che lasciasse fare alle domestiche e che non si esponesse alle intemperie, rispondeva di voler imitare Gesù che era vissuto da povero, lavorando nella bottega di S. Giuseppe. Ogni suo lavoro poi, com’era naturale in quell’anima privilegiata, veniva nobilitato dall’intenzione di piacere a Dio. A una sua amica dava il suggerimento di approfittare del lavoro per infiammarsi di amore divino. « Ogni atto materiale le diceva – può elevare la mente a Dio » – « Mio Dio, come io spazzo la stanza, così Voi mondate l’anima mia da ogni maccTiia.:

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come io accendo questo fuoco, così Voi accendete il fuoco del Vostro amore nel mio cuore! ».

Nel crogiuolo

Abbiamo visto che fin dalla fanciullezza la Serva di Dio mostrò grande amore alla penitenza. Col crescere degli anni crebbe in lei anche quest’amore. Oltre all’osservanza rigorosa dei digiuni e delle astinenze prescritte dalla Chiesa, usava praticare due periodi di digiuno annuale, e il digiuno a pane ed acqua nei sabati e nelle vigilie delle maggiori solennità. I pasti ordinari poi erano più che frugali, a volte resi disgustosi con l’aggiunta di cenere e di succhi amari. Quando si trattava di assaggiare qualche vivanda speciale trovava un pretesto per assentarsi da tavola e non assaggiarla.

Prendeva riposo su nude tavole o addirittura sul pavimento. Il suo Direttore spirituale, Mons. Ramaschiello, attestava che doveva adoperare tutta la sua autorità per dissuaderla dal flagellarsi a sangue e dall’usare cilizi. Anzi e- sprime il dubbio che la sua morte prematura sia da iscriversi appunto alle sue pratiche austere, non sapute impedire dagli altri direttori di spirito, seguiti a lui nella guida della Serva di Dio. Essa, continua Mons. Ramaschiello, parlava di flagellazione e di penitenze come si pesi» parlar· di banchetti e di divertimenti.

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Sì crede dai più che l’amore di Dio debba distruggere o almeno raffreddare l’affetto dei propri congiunti. Falso. L’amore anzi al proprio sangue si nobilita e si affina alla fiamma della santità. Filomena amava i genitori più di tutti gli altri figli, non solo pregando per essi, ma prodigandosi senza misura per la loro salute e per il decoro della casa. Anche i fratelli erano oggetto del suo amore più disinteressato. E la malattia che la colpì nel maggio del 1852, (una malattia terribile che ne fece una martire) la contrasse proprio nel durare giorno e notie, per oltre un mese, al capezzale del fratello Vincenzo, seminarista, morto poi di tifo. Essa ebbe la costanza di non partirsi mai dal suo fianco e l’eroico coraggio di assisterlo nella penosa agonia, e di raccoglierne l’ultimo respiro. Ma lo sforzo fisico e l’emozione, procuratale da quella morte prematura, ebbero ragione della sua complessione delicata.

Proprio nel giorno della morte del fratèllo, 11 maggio 1852, manifesta i primi sintomi, ^ià violenti, del male, conosciuto sotto il nome dì « corea ». Non è ozioso riferire la descrizione che di questa malattia si trova in un trattato di medicina : « Essa suole iniziarsi in modo brusco, in seguito ad uno spavento o ad una emozione, ed è caratterizzata da movimenti i più svariati, che si manifestano senza fine ed- apparentemente senza alcuna causa, durante 11 riposo come durante l’azione; movimenti illogici, aritmici, estesi al tronco ed agli arti; talora anche alla faccia e alla lingua in modo da disturbare la favella. Si ha una vera follia muscolare ». E questo male spaventoso, la Serva di Dio lo contrasse adempiendo ad un liffiéio

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Si crede dai più che l’amore di Dio debbia distruggere o almeno raffreddare l’affetto dai propri congiunti. Falso. L’amore anzi al proprio sangue si nobilita e si affina alla fiamma della santità. Filomena amava i genitori più di tutti gli altri figli, non solo pregando per essi, ma prodigandosi senza misura per la loro salute e per il decoro della casa. Anche i fratelli erano oggetto del suo amore più disinteressato. E la malattia che la colpì nel maggio del 1852, (una malattia terribile che ne fece una martire) la contrasse proprio nel durare giorno e notie, per oltie un mese, ai capezzale del fratello Vincenzo, seminarista, morto poi di tifo. Essa ebbe la costanza di non partirsi mai dal suo fianco e l’eroico coraggio di assisterlo nella penosa agonia, e di raccoglierne l’ultimo respiro. Ma lo sforzo fisico e l’emozione, procuratale da quella morte prematura, ebbero ragione della sua complessione delicata.

Proprio nel giorno della morte del fratello, Il maggio 1852, manifesta i primi sintomi, ^ià violenti, del male, conosciuto sotto il nome dì « corea ». Non è ozioso riferire la descrizione che di questa malattia si trova in un trattato di medicina : « Essa suole iniziarsi in modo brusco, in seguito ad uno spavento o ad una emozione, ed è caratterizzata da movimenti i più svariati, che si manifestano senza fine ed ; apparentemente senza alcuna causa, durante il riposo come durante l’azione; movimenti illogici, aritmici, estesi al tronco ed agli arti; talora anche alla faccia e alla lingua in modo da disturbare la favella. Si ha una vera follia muscolare ». E questo male spaventoso, la Serva di Dio lo contrasse adempiendo ad un liffiéio

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di carità!

Durante gli attacchi del male la Serva di Dio offriva un contrasto ammirabile. Mentre

il corpo era scosso dalla danza tormentosa . ed erano ore ed ore di movimenti convulsi – il suo spirito restava calmo e serena. Il segreto di tanta forza va ricercato nella SS. Eucarestia. Difàtti dopo la S. Comunione, ch’ella riceveva quotidianamente, avevano qualche ora di tregua quei movimenti spamodici che poi ri· prendevano e duravano lino al mattino seguente. Anche nell’avere lei stessa domandato al Signore quel tormento. Risulta ciò da una confidenza che ella fece ad una fidatissima amica:. « Gesù Cristo mi ha concessa la grazia che io ho ardentemente domandato, di soffrire la sua dolorosa Passione, cominciando dal Get* semani e terminando al Calvario ». Mai un lamento usciva dalla sua bocca. Anzi dissimulava i suoi acuti dolori, assicurando i suoi • di star bene, di non soffrire per niente!

Ma i genitori non credevano alle sue parole, non si rassegnavano a vederla patire così a- trócemente. Perciò, dietro suggerimento medico, Filomena fu condotta a Napoli per una cura balneare. Non è a dire quanto si mostrasse sollecita del suo pudore durante i bagni, E intanto non rallentò le pratiche dei suoi esercizi di pietà. Alle passeggiate o agli svaghi che le offriva il padre preferiva le visite alle chiese, dove amava trattenersi davanti a Gesù Sacramentato. La cura dovette giovarle, perchè, ritornata a casa, il male andò scemando sensibilmente, fino a lasciarla del tutto dopo circa “due anni. Ma quell’anima santa ebbe piuttosto dispiacere della sua guarigione. Avrebbe pre-

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ferito di continuare a soffrire per sentirsi partecipe dei dolori del suo Sposo celeste.

Alla scuola del Serafico

Non potendo abbandonare completamente il mondo per ritirarsi nel sacro recinto di un chiostro, la Serva di Dio cerca di vivere nel mondo come separata da esso. Per completare questo suo isolamento spirituale essa, che gU aveva emessi i voti pubblici di obbedienza» di povertà e di castità si ascrive al Terz’Gr- dine Francescano; conferendo cosi alla sua metà l’impronta dello Spirito Serafico. Il 28 febbraio del 1855 ricevè lo scapolare ed il cordiglio dalle mani del Superiore del Convento di S. Maria degli Angeli. In quella chiesa mistica ed accogliente, divenuta già ai suoi tempi il centro della vita spirituale nocerina, la Serva di Dio si trova come nel suo ambiente. Le è dolce recarvisi spesso, oltre che per partecipare alle adunanze della Congregazione, per trattenersi più a suo agio negli esercizi di pietà a lei cari.

Le sue amiche attestano che Filomena praticava scrupolosamente le prescrizioni della Regola e conformava ad essa tutta la sua vita. Amante della povertà fin da bambina, dopo la sua iscrizione al Terz’Ordine Francescano, ridusse il suo abbigliamento a vesti scure e dimesse e a un grande scialle, che 1« copriva

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le spalle e la testa.. Ma la trasformazione più sensibile. Filomena la subì nel suo amore al prossimo. Essa era portata ad amar« tutti in Gesù Cristo, ‘compresi eoloro che le potevano essere indifferenti. Ma fra tutti e sopra tutti élla amava gli uinili ed i poveri. In casa si moltiplióàva e non risparmiava alcuna fatica pur di. alleviare il lavoro delle domestiche. E alla mamma che cercava di persuaderla a non Occuparsi dèi servizi di casa, rispondeva : << Mammà, le serve debbono attendere a troppe cose, Da sole .non potrebbero arrivare! ».

E i. poveri? Ei;ano. il suo pensiero dominante. Già .da bambina più yolte aveva regalato ai fanciulli poveri la colazione» qualche volta le acarpe o il grembiale, una vòlta addirittura gl^orecctiini. Adesso riservava per loro le pietanze migliori e spesso interrompeva il pranzo per recarsi, giù al portone di casa a distribuire elemosine.. I) regalo più gradito che le si potesse offrire „era del danaro , da dispensare ai bisognosi.

Ma la sua carità andava più oltre. Tra i poveri infatti preferiva gli ammalati. Con della pomata che preparava lei stessa, medicava le loro, piaghe!· (spesso fetide e nauseabonde) e le fasciava con tutta delicatezza. E di tali infelici accorreva-una turba da l^i! Nè si limitava alto sola elemosina materiale, dispensava loro anche i tesori della sua pietà, tutti confortando, tutti, ammonendo a soffrire per amore di Dio e a Itutti daq^p. consigli illuminati e sapienti. À .volte la mamma si mostrava preoccupata della prodigalità .di Filomena. Ma la Serva di Dio le osservava : « Mammà, non sapete che ì}6i siitfno . gli amministratori dei poveri? ».

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Se la madre voleva farla contenta appieno, doveva condurla al capezzale degli Infermi abbandonati e permetterle di girare per il paese in cerea di fanciulli poveri. Con parole piene

di sapienza divina confortava ed istruiva, nòti senza elargire agli uni e agli altri, pane, medicine e denaro.

La Serva di Dio aveva compreso davvero che cosa significhi essere terziaria francescana, perchè non si limitava a recitare le poche preghiere prescritte dalla Regola e a intervenire alle adunanze mensili. Ma lo viveva» ii francescanesimo, facendosi tutta a tutti, per guadagnare tutti aU’amore di Cristo. E da testimonianze molteplici sappiamo che in gcazia delle sue preghiere, delle sue mortificazioni e della sua opera di angelo del bene, molti peccatori ritrovarono la via giusta.

Il Signore pertanto si compiaceva della sua serva e nella di lei persona amava far rispondere un pò della sua onnipotenza. Nel 18&7; infatti. Filomena guarisce da tifo maligno, di sicuro esito letale, la giovane Lucia Spera, a lei legata da vincoli di sincera amicizia. Infatti recatasi a casa di costei, dopo averle fatto coraggio e averle ispirata fiducia nella bontà di Dio, le prende il capo fra le mani, glielo comprime a lungo, assicurandole che non morrebbe. E l’inferma si ristabilisce subito completamente.

E anche di doni straordinari apparve arricchita la Serva di Dio. Dopo la Messa domanda a sua madre se abbia soddisfatto al precetto, perchè non sa dire chi abbia celebrato, nè ha inteso i segni della elevazione. Evidentemente era stata rapita in estasi. E in atteggiamento estatico»

innalzata un metro dal pavimento, fu veduta qualche volta in casa. Un giorno poi attesta di veder piangere un’immagine dell’Addolorata. L’amica Esposito, presente alla scena, affermava di non veder niente. E allora « Filomena – sono parole della Esposito – prese un poco di bambagia vergine, esterse con essa le lagrime della Vergine Addolorata e me la mostrò tutta inzuppata ».

Ancora nel crogiuolo

Il dolore viene di nuovo a bussare alla porta di casa Genovese: il padre della Serva di Dio, colpito da apoplessia è ridotto all’immobilità. Filomena ne diventa subito Pinfermiera amorosa» Ella si preoccupa sopratutto dell’anima del suo genitore. Perciò con parole adatte lo esorta alla conformazione ai voleri divini, mettendogli davanti agli occhi l’agonia di Gesù e i dolori di Maria SS. Il buon vecchio, divenuto più amabile a contatto con la sofferenza, accoglie di buon grado le parole della figlia: anche perchè vede che costei non risparmia fatica alcuna per alleviargli i dolori. Ella è pronta a ogni suo cenno; si sforza di indovinarne i desideri; gli somministra con diligenza e delicatezza squisita le medicine prescritte.

Ma sopratutto ne cura lo spirito. Lo intrattiene in conversazioni spirituali, recita il Santo Rosario con lui, lo aiutai ad apparecchiarsi aì-

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la Santa Comunione o a seguire la Mès$sTche, per indulto speciale, si celebra in casa.

Questa premura squisita, oltre che dalTa- more filiale, le viene da una rivelazione avuta, in cui ha saputo che il padre morrà all’improvviso.

In questo stesso periodo Filomena dimostra ancora una volta di essere stata arricchita da Dio di doni straordinari. La notte del 20 febbraio 1860, infatti, annunzia alla madre che il Vescovo, Mons. Agnello D’Auria, è in agonia e la esorta a pregare per la sua anima. La madre dubita delle parole di Filomena. Ma all’alba ode le

suonano a morto: Tfe jpaxoìè cÌeìla serva cu W corrispondevano a realtà.

Così pure predice lo sterminio delle famiglie di quegl’infelici che, associandosi litici, insultano la Santa Chiesa e i suoi Ministri (a Nocera si giunse a dare uno schiaffo in pubblico a Mons. Ramaschielló!). La stona ha dimostrato poi la veridicità delle sue , predizioni. J

Un’altra sua predizione si doveva avverare, gettando la famiglia nel lutto, e causando a lei la ricaduta nel morbo terribile, che poi. la condusse alla tomba. Dopo due anni di acute sofferenze, peraltro alleviate dalle cure amorévoli della Serva di Dio (l’abbiamo visto) don Paolo Genovese decedeva la notte del martedì 6 aprile 1863. La domenica precedente, solennità di Pasqua, aveva ricevuto là Santa Comunione con uno spirito di pietà davvero, edificante. Avvertendo uria miglioria serisibile,nel pomeriggio è condotto’ in carrozza à riparate un boccone di aria piirà. Il giorno’ ségaferite

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può venerare dal balcone di casa la statua della Madonna dei Miracoli, portata proces- sionalmente per la città. lì martedì il medico curante lo trova rinvigorito di forze e assicura alla famiglia che non c’è niente da temere. La sera però avviene la catastrofe. Mentre la signora gli preparava la cena (egli bisognoso di riposare è già a letto) il buon vecchio passa a miglior vita. E’ uno schianto indicibile. Tutti sono attorno a quel letto di morte, costernati dal dolore, quantunque già avvisati dalla predizione della Serva di Dio.

Anch’essa, Filomena, sente l’acerbità del distacco e soffre in silenzio! Ma. la natura lia il sopravvento sugli sforzi che compie la sua volontà per contenersi. E quando fa per dare l’ultimo bacio alla salma amata, si sente scossa dal tremito violento che caratterizza il suo male. Dolore si aggiunge a dolore in quella famiglia! Qualcuno esce in parole poco riverenti alle disposizioni della volontà di Dio. Ed ecco Filomena, proprio lei colpita più fieramente, esortare tutti alla rassegnazione e alla pazienza.

Lll giugno 1864, dopo una convulsione più lunga e più violenta delle altre, la Serva di Dio riacquista una calma straordinaria. Inoltre può parlare liberamente, dopo un lungo periodo di mutismo. La madre piange di contentezza. La Serva di Dio le fa una confidenza : « Oggi dovevo morire; però per non lasciarvi senza una parola di ricordo, ho pregato il Santo di Padova, ed egli mi ha ottenuto altri sei mesi di vita ». E domandata perchè non abbia chiesta la guarigione completa, risponde che Òiò sarebbe contrario alla sua sete di patire.

Ma la gioia non doveva durare a lungo- nella

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SI

Gasa Genovese. La Serva di Dio dopo appènà due mesi dalla guarigione, perde di nuovo la favella, non può ingoiare cibi e è presa dì nuovo dai sintomi delia corèa. Per di più il fratello Gennaro, colpito da tifo, corre serio pericolo di vita; i medici anzi sono sfiduciati. Ma Filomena non dispera. Si fa condurre al letto del fratello, e gli lava le mani in una catinella intanto che prega fervorosi)mente. Il mi- glk>rameu&>& finché

ogni sintomo del iri rimette completamente. Al contra di Dio è presa di nuovo da tutti gli antichi sturbi: ella aveva offerto la propria vita in cambio di quella del strava di aver gratto? suoi sono costernati e la pregano che almeno chieda la grazia di poter parlare ed ingoiare. E l’ottiene difatti. Ma soffre sempre in modo indicibile. Tuttavia non perde mai la calma ed il sorriso. Quando poi riceve la S. Eucaristia, l’alimento della sua forza ammirevole, ella è esultante di gioia: sembra addirittura che non avverta le fitte di dolore che le procura il suo male.

Il volo alle nozze eterne

La Serva di Dio si avvicina alla Patria. Il suo aspetto perde la floridezza che ha sèmpre conservato; le mani le si affilano. L· membra

SI

 sonò più che indi preda ^eam^y lente, che la Sua volontà non può minimamente impedire- Pure ella conserva la catana interióre che le si riflette nel sorriso dolce, nella parola soave, nello sguardo limpido. Tutti i suoi affetti e i suoi pensieri tèndono al cielo. Ripete spesso: «Non posso più reggere, debbo unirmi pi mio Dio. Brrmo morite per congiun- germi all’amato mio Bene ».

Filomena non ha dimenticato che soltanto sei mesi di vita ha ancora. Ed è impaziente che si compiano. Perciò domanda di frequente che giorno e che mese sia. Qualcuno le domanda scherzosamente se non abbia qualche debito che le scade. Ed ella risponde con un sorriso misterioso. La sua impazienza giunge fino al punto di domandare una sveglia, per poter più facilmente controllare il tempo che ancora la separa dalla morte!

La madre la esorta a chiedere la guarigione alla Madonna, che l’otto settembre attraversa in processione le vie della città. Filomena risponde : « Non vedete che la Madonna fa cenno col capo: no, no?».

Il tempo stringe. La Serva di Dio vuol prendere congedo dai suoi. Il 9 dicembre fa chiamare Lucia Spera, per darle l’ultimo addio. L’amica vorrebbe che Filomena domandasse la guarigione. « E’ volontà di Dio che viva altri tre giorni – risponde Filomena ** e io ti ho fatto chiamare per rivederti l’ultima volta ».

Vuole che ì suoi cari non si partano dal suo letto, per lasciare ad essi salutari ricordi e domandarne preghiere per il passo estremo. Il giorno 11 riceve la Santa Comunione in forma di Viatico con una pietà angelica. Poco dopo

le si amministra l’Estrema Unzione. L’ansia dei familiari diventa spasimo. Ma l’ora della Serva di Dio è giunta. Rapita in una visione di cielo, quasi che la carne non sopporti Tee-» cessiva gioia interiore, la sua anima cade in deliquio e si ricongiunge a Dio. Una nuova data da segnarsi nei fasti delia Madre dei Santi: 12 dicembre 1864,

Il letto di morte della Serva di Dio «splende già della luce dei miracoli. La camera ardente dove riposa la sua salma è testimone della sua apoteosi.

Il corpo della Serva di EHp è adagiato su di un catafalco, addobbato Esso però incomincia a decompÓ?^^^P)M|kk te, per cui si stima opportuno seppellirlo a’ur genza. Ma un fratello di Filomena intima alla santa sorella che cessi ia miracolo! La

daverico, e si móstra «Beo** flessibile e fresca, al punto da mandare sangue vivo da una incisione che vi si pratica.

Il popolo intanto, saputo dèlia morte della Serva di Dio (« E’ morta la santa» – era la voce che passava di bocca in bocca -) si reca in casa Genovese per ammirare l’ultima volta le sembianze di quell’angelo di bontà. E si indugia, riverente e commosso, davanti a quella figura di Vergine dormiente: il capo adorno di una corona di fiori e il Crocefisso fra le mani. Non prega il popolo per la pace di quell’anima, ma per i propri bisogni* materiali e spirituali. E già si parla di miracoli. Luigia Spera si vede risanata dall’artrite che da tredici mesi le immobilizza il braccio sinistro. Teresa Ruggero, che giace a letto da molto tem-

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po, si vede risanata dal suo male, appena invocato il nome di Filomena. E qual meraviglia se due altre persone di santa vita: il sacerdote don Pietro Pepe e la Serva di Dio Maria Luisa di Gesù, vedono l’anima di Filomena ascendere al cielo, rivestita di una candida tunica, punteggiata di stelle e di un manto azzurro?

La sua immagine

Cinque giorni erano passati dalla morte della Serva di Dio e la salma non accennava a decomporsi. Il popolo continuava ad affluire nella camera ardente in tale calca che non fu possibile al pittore eseguire il ritratto di Filomena.

Ma proprio nel quinto giorno il volto le si incominciò a deformare. Urgeva perciò inumarla, rinunziando al ritratto.

Non corteo funebre fu quello che accompagnava la spoglia^ di Filomena al cimitero, bensì processione di tutto un popolo osannante alle virtù della Serva di Dio. Una folla Immensa che invece di pregare per la pace eterna della Estinta, le si raccomandava cantando inni sacri. Si dovette anzi fare attenzione a frenare gli slanci della devozione popolare.

La salma fu tumulata nella cappella dei signori Milano. Sembrava cosi che la Serva di Dio avesse compiuto definitivamente il suo passaggio j>er questa terra. Invece mancava ancora il suo ritratto. Ebbene una notte si

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 mostra in sogno a un suo fratello, col volto sereno, e sorridente, dai lineamenti ricomposti senza la mifiima traccia del gonfile che li a-^ \wa alterati sul letto di morte. Il sognò risponde a realtà. Si decide allora di eseguire ritratto della Serva di Dio dalla sua salma.’

Nel trigesimo della morte il pittore Luigt Montesano da Salerno assieme ai familiari della Sen a di Dio si reca al cimitero. li cadavere, – a distanza di trenta giorni dalia morte – si badi – è ancora integro, flessibile, inodoro. Basta adagiarlo su dTuna sedia e sostenerne il capo. Allo artista riesce agevole tracciarne il ritratto in hrevo tempo e io modo jeilgtijp.J^op contento dell’opera sua, tocco. Ma ^

tela, una forza misteriosa gli paralizza il bracca – Prova piti volte, ma sempre con l’identico risultato. Evidentemente è la Serva di Dio che soddisfatta del lavoro gli impedisce ulteriori correzioni o abbellimenti.

Sorrìsi di cielo

Filomena era vissuta umile e nascosta·; Ma le sue virtù l’avevano trasformata in lampada di santità, destinata ad illuminare le anime e guidarle sulle vie della bontà. Perciò il Signore, dopo la sua morte, non la lascia nell’ombra in cui era vissuta, ma la colloca sul candelabro, affinchè diffonda tutta la luce di cui è ripiena.

E in questa luce fiorisce il miracolo, che è insieme manifestazione dell’onnipotenza divina e testimonianza della santità della Serva di Dio.

Fra i tanti scegliamo i più salienti. La si- prora Nobile Pisani è guarita da Filomena» in seguito a di lei apparizione, e può così evi* tare un’operazione che si prevedeva difficile. Lo scalpellino Matteo Pisani, alla semplice invocazione del nome della Serva di Dio, è guarito anch’egli da una grave malattia e può riprendere a lavorare dopo pochi giorni. Il Sacerdote Francesco Fasi prega la Serva di Dio che lo guarisca da un male fastidioso agli occhi, di cui soffre fin da bambino, e ne è risanato all’istante e per sempre. La signora Matilde d’Amato ha già ricevuto gli ultimi sacramenti, finita da anemia. Si raccomanda alla Serva di Dio e riacquista la sanità in breve tempo. Il neonato del farmacista Antonio De Angelis riacquista la vista all* applicazione sugli occhi di pannolini appartenuti alla Serva di Dìo. La bambina Giovannina Ingegnoso è liberata da «paralisi. Alla signora Francesca Tarantino, Filomena, appare visibilmente e la guarisce da un favo maligno a una gamba che richiedeva l’amputazione. Gettando l’immagine della Serva di Dio in un fiume ingrossato dalle piogge, che minaccia di straripare, la fanciulla Maria Assunta d’Amato ottiene che il fiume si sgonfi e si contenga negli argini. E la lista potrebbe continuare. Ma non occorre. Basti dire che innumerevoli sono gli ex-voto (braccia, gambe, cuori) attestanti i miracoli operati dal Signore ad intercessione della Serva di Dio.

La quale ama consolare i suoi devoti specialmente con apparizioni.

Upa mattina del luglio 1896. Èssa si senta alla signora Maria Grazia Vicedomini chìeto dendo le ottenga di parlare col giudice (Jiqvatf- ni Caruso. « Ma costui non può ricevere nessuno – le risponde la signora – perchè deve assistere suo figlio gravamente ammalato », . .La Sejrv^ di Dio è subito riconosciuta dalla Signora;, ma scompare. La notte seguente peri» le appare di nuovo e le ordina di dire al giudice che mandi olio per la sua lampada, se vuoi vedere guarito il figlio. Il giudice segue il suggerimento della Vicedomini e ottiene la guarigione del suo bambino. D quale miracolo aggiunto $ miracolo – nel 1906 fa guanto per una seconda volta da infezione a-«*·!’ l’intervento cha*urgidd.

anche stavolta fu seggerita aana stessa serva di;I>ip, che si mostrò in sogno alla signorina Emilia Origlia. . t .,r

Anche Carmine Granito vede in sogno Filomena che gli risana due dita della mano destra, stritolate a New York (U, S. A.)Kip un infortunio sul lavoro. La guardia idi fidanza Luca Mustacciuolo, già in agonia neil’ospe- dale di Cava, ottiene, in sogno una visita della Serva di Dio, che lo guarisce airistante. La signora. Lucia d ’Amico invoca la Serva di Dio, per essere liberata dal tifo e dalla, bronchite, che minacciavano di condurla alla tomba, E una notte vede Filomena, che la libera da Ogni tracpia di malattia. Nel 1915 tale Antonia Corrado, vecchia settantaquattrenne, da Nocerà, cade malamente nella sua stanza. E’ zoppa non può rialzarsi. Invoca la Serva di. Dio. Questa le appare, la solleva .da- terra e la xjepone sul letto. Teresina Bavarése soffriva di gràie

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.k.

malattia agli occhi. I medici le diedero due fialette di collirio per curarsi. Prima di tornare a casa però, la sventurata si reca a visitare la tomba di Filomena. La notte seguente ode dei colpi alla porta. Sua madre credendo fosse il marito panettiere, lo chiama per nome. E si ode rispondere : « Io sono la monaca di No- cera e vengo ad ammonirti di non applicare agli occhi di tua figlia la medicina, che altrimenti perderà la vista ». Esaminato dai medici il contenuto delle fiale, risultò davvero pericoloso, come aveva ammonito la Serva di Dio.

Tutti questi fatti sono attestati e sottoscritti, e non se ne può assolutamente porre in dubbio l’autenticità. La Serva di Dio appare frequentemente ai suoi devoti, liberandoli da pericoli gravissimi.

Degno di nota è anche quanto avvenne a Domenico Marchiano di Nocera. Si recava costui una sera da Buenos Aires (era un emigrato) a Jutuzaingo sul suo carro. A un tratto fu sorpreso da un ciclone. Una pioggia torrenziale, mulinata dal vento furiosissimo, trasformò la via in un fiume, in cui i cavalli si muovevano a stento, immersi com’erano nell’acqua fino al collo. Il poveretto si rifugiò sui rami di un albero per evitare la morte. In questa situazione penosissima invoca la Serva di Dio. Essa gli appare, prende i cavalli a briglia e li guida in modo che non siano travolti dalla corrente. La visione durò fin quando non giunsero i vigili dalla città.

Ma più commovente è il modo tenuto dalla Serva di Dio nel difendere i suoi devoti sui campi di battaglia.

Apparendo in sogno a Giovanni Pisanzio il

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25 luglio 1915 gli dice : « In questa avi perderai il braccio sinistro; ma non mo Non temere; io sarò al tuo fianco». Le parole si avverarono appuntino il giorno guente.

Andrea Rainoni, che si trovava al fronte n 1917, la vede per ben due volte e ne ode la1 promessa : « Non aver paura perchè ti salverò da morte». E può tornare a casa incolume.

Ed altri ed altri soldati parlano di apparizioni della Serva di Dio ed affermano di essere stati salvati da cento pericoli per sua intercessione.

Ci piace chiudere questa serie di apparizioni e di guarigioni miracolose con un ultimo fatto davvero strepitoso. Teresa chia settantaduenne da Lanciano degli Ab- bruzzi è in fin di vita. Nessuna speranza di guarigione per lei, che già avverte nel corpb il formarsi di piaghe purulenti. Le si offre un’immagme della Serva di Dio. E la vecchietta la prega non tanto della guarigione quanto di una buona morte. Dopo la preghiera si sente rinvigorita e chiede di alzarsi. Ma i familiari non le badano, credendo si tratti di una impressione passeggera. Senonchè la mattina seguente, la Serva di Dio le appare e l’aiuta ad uscire dai letto. Quei di casa e i medici, accorsi dalla vecchietta, debbono costatare la guarigione completa di quella morta rediviva!

Prerogativa davvero bella, questa, della nostra Serva di Dio che dimostra quanto accetta sia la preghiera al trono del Signore.

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Verso la gloria

Il nome della Serva di Dio diventava di giorno in giorno sempre più popolare. I casi di guarigioni miracolose e di grazie d’altro genere non si contavano più. Dai paesi circostanti a Nocera giungevano continue richieste d’immagini della Serva di Dio. E presto nei suoi devoti sorse il desiderio di sottoporre al giudizio della Chiesa la fama delle sue virtù. La Curia nocerina diede ascolto alle voci dell’entusiasmo popolare. Incaricò un suo rappresentante di raccogliere dichiarazioni extragiudiziali che avessero un certo rilievo – e furono ventisette – e di esaminare le reliquie della Serva di Dio.

Ma il Processo Informativo, avviatosi cosi bene, dovè subire un arresto a causa delle difficoltà che il governo opponeva alla Chiesa nel disbrigo di ogni sua pratica. Per le stesse ragioni non potè essere effettuo ta la traslazione dei resti mortali delia Serva di Dio dal cimitero alla chiesa del Corpus Donimi, officiata dai fratelli di lei, sacerdoti. L:i Cuna tuttavia non si lasciava intimidire. Il Cardinale San- felice, Arcivescovo di Napoli, a cui era commessa l’Amministrazione della Diocesi di Nocera, si diede premura perchè il Processo giungesse rapidamente a conclusione. Il 28 dicembre 1885 fu fatta la Ricognizione del Cadavere e fu trovato ancora flessibile e morbido. Inoltre la Curia appose i sigilli al sepolcro nuovo della Serva di Dio – esistente nella Cappella Angri- sani – come a dimostrare di prendere sotto la

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sua tutela, la Spoglia benedetta.,

Mons. Del Forno riprese il Processo Informativo sulle virtù e sui miracoli della Serva di Dio già nel febbraio dèi 1886. Ma i lavori subiscono una nuova interruzione. Nel 1901 finalmente si fanno i primi passi plesso l.a S. Sede. Prima il Cardinale Capocelatro, poi lo Arcivescovo di Salerno, il Vescovo di Nola e numerosi àltri Prelati della regione Salernitano – Lucana chiedono al Sommo Pontefice cW si. costituisca una Commissione per l’introduzione della Causai della Serva , di Dio,

Anche la città di Nocera presenta al Papa una petizione, in cui accenna ^opportunità di glorificare la Serva di Dio, mcrcttttodpla come esempio alla gioventù femminile odierèraii’^

Il 4 marzo 1915 si effettuò la traslazione della venerata Salma, dal Cimitero alla chiesa francescana di S. Maria degli Angeli. Quel giorno si rinnovò lo spettacolo; di fede é di devozione avutosi già alla morte delia Serva di Dio. Una calca di popolo – un cinquemila persone – stipava la chiesa e il piazzale antistante, serbando un contegno commosso ed e- dificante. I nocerini gioirono intimamente nel vedere una loro concittadina fatta segno alle premure della Madre comune. E da quel giorno visitano devotamente quel sepolcro glorioso.

Intanto il 23 luglio 1919, raccogliendo i voti dei Ministri Generali Francescano e Domenicano, della cittadinanza di Nocera e di numerosi devoti, iì Papa Benedetto XV segnava il. Decreto di Introduzione dèlia Causa per fa Beatificazione e Canonizzazione della Serva di Dia

A questo fecero seguito dal 1920 al 1928 .il

Processo de non cidtu e quello Apostolico circa la santità ed i miracoli.

Finalmente il 25 marzo 1946 si discuteva in ■- Sessione Plenaria, presso la S. Congregazione dei Riti, il quesito circa la Validità di tutti i Processi.

Attualmente si attende il Decreto Apostolico circa la Eroicità delle virtù esercitate dalla Serva di Dio, il quale dovrà conferire ufficialmente a questa il titolo di Venerabile e metterla cosi sulla via certa della Beatificazione.

* * *

Conclusione

II desiderio unanime ed ardente dei suoi devoti è di vedere Filomena adorna quanto prima del titolo di Beata ed infine circondata dell’aureola dei Santi, affinchè la sua dolce figura possa ancora irradiare bontà e fa sua po- tevte intercessione presso Dio ottenere all’umanità tutta pace e amorel

Processo de non cidtu e quello Apostolico circa la santità ed i miracoli.

Finalmente il 25 marzo 1946 si discuteva in ■- Sessione Plenaria, presso la S. Congregazione dei Riti, il quesito circa la Validità di tutti i Processi.

Attualmente si attende il Decreto Apostolico circa la Eroicità delle virtù esercitate dalla Serva di Dio, il quale dovrà conferire ufficialmente a questa il titolo di Venerabile e metterla cosi sulla via certa della Beatificazione.

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Conclusione

II desiderio unanime ed ardente dei suoi devoti è di vedere Filomena adorna quanto prima del titolo di Beata ed infine circondata dell’aureola dei Santi, affinchè la sua dolce figura possa ancora irradiare bontà e fa sua po- tevte intercessione presso Dio ottenere all’umanità tutta pace e amorel

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