Lectio Divina 10 marzo 2024 Domenica della Quarta Settimana di Quaresima (Anno B) Domenica Laetare

Lectio Divina 10 marzo 2024 Domenica della Quarta Settimana di Quaresima (Anno B) Domenica Laetare  2) Lettura:…

Lectio Divina 10 marzo 2024

Domenica della Quarta Settimana di Quaresima (Anno B) Domenica Laetare

 2) Lettura: Lettera agli Efesini 2, 4 – 10

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. 

Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.

Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

3) Commento su   Lettera agli Efesini 2, 4 – 10

La lettera agli efesini considerata lettera paolina perché riporta oltre a nome di Paolo, molti temi tipicamente paolini. Nella prima parte della lettera, considerata dottrinale, ci sono vari temi teologici, espressi in varie forme di preghiera. La lettera viene annunciata come un inno di benedizione di Dio, che attraverso Cristo fa conoscere il suo disegno di salvezza. Questo inno esalta Cristo come mediatore e riconciliatore con il mondo. Da questi versetti si attesta l’appartenenza di Gesù accanto a Dio. Sia quelli di origine giudaica, sia quelli di origine pagana sono stati fatti passare dalla morte alla vita, sono stati salvati grazie alla fede e al grande amore di Dio.

L’ultima parola è sempre il perdono, e questa è la lieta notizia!

È su queste note che san Paolo, nella sua lettera agli Efesini, riprende questo tema e ci ricorda che ‘Dio è ricco di misericordia’ e ci ha fatto rivivere con Cristo, da morti che eravamo per le nostre colpe. Paolo ribadisce che la vera fonte di tutta questa bellezza è la bontà gratuita di Dio, alla quale possiamo accedere grazie al suo dono della fede. Per questo siamo resi capaci di attuare le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.

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4) Lettura: dal Vangelo secondo Giovanni 3, 14 – 21

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.  E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». 

5) Riflessione sul Vangelo secondo Giovanni 3, 14 – 21

Gesù nel vangelo di oggi dice a Nicodemo che dev’essere innalzato da terra, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna: Egli allude alla croce che è strumento di salvezza; attraverso la Croce, che era una morte infamante, Gesù ci ha salvati. Sappiamo apprezzare questo amore che ha spinto il Figlio dell’uomo a offrirsi per noi? Stiamo un po’ in contemplazione davanti alla croce di Gesù: essa è segno dell’amore di Dio che è immenso. Non possiamo passare oltre la croce rimanendo indifferenti a quello che significa.

Nel proseguo del dialogo Gesù afferma che chi crede in Lui ha la vita eterna mentre chi non crede è condannatoDio però non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare ma per salvare: come è diversa la nostra prospettiva quando di fronte al male condanniamo le persone.

Dio ci insegna a perdonare, a imparare dalla Sua misericordia. A Pietro che domandava a Gesù quanto perdonare il maestro rispose 70 volte sette. E noi sappiamo perdonare? Sia chiaro, non è una cosa facile se abbiamo ricevuto tanto male ma con la grazia di Dio è possibile: puntiamo su di essa e non sulle nostre forze per perdonare.

In conclusione del Vangelo si afferma che gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce: è ripreso quanto San Giovanni scrive nel prologo: venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accoltoGesù, che era venuto a portare la luce, è stato ucciso ma attraverso la Sua morte Dio ha dato la vita. È un paradosso ma questa è la potenza e la sapienza di Dio! Il rischio anche per noi è di rifiutare la Luce perché le opere malvagie ci accecano: l’uomo, a volte, per non essere messo in crisi ragiona coi piedi invece che con la testa e le sue opere cattive diventano criterio di giudizio quando dovrebbero essere riconosciute e allontanate. Stiamo attenti di non essere accecati!

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo.

La quarta domenica di Quaresima si titola domenica in Laetare dall’antifona con cui inizia la celebrazione eucaristica: “Rallegrati (laetare), Gerusalemme, sii nella gioia per la consolazione che ti viene dal Signore”. Certamente il motivo dell’essere gioiosi non è dato perché siamo giunti alla metà del percorso quaresimale, ma dalla grande rivelazione dell’amore di Dio per l’umanità, che ci viene proposto in modo solenne nel dialogo di Gesù con Nicodemo, un capo ragguardevole dei Giudei. Questi per non compromettersi dinanzi ai suoi colleghi, era venuto di notte per avere un incontro con Gesù. “Rabbì, – disse – sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai”Gesù gli rivela la propria identità e la sorte che lo attende, ma Nicodemo non potrà vedere il regno di Dio, se non rinascerà dall’alto, dallo Spirito. “Come può accadere questo?”, gli disse. L’uomo può nascere dall’alto perché Dio ha mandato il Figlio affinché l’uomo, per mezzo di lui, possa accogliere il dono della nascita dall’alto e agire di conseguenza. L’immagine-profezia, a cui il testo si richiama è quella dell’esodo, quando gli Ebrei dopo una ennesima mormorazione, Dio li mise alla prova con una invasione di serpenti. Al loro grido di supplica, Dio ordinò a Mosè di collocare su un’asta un serpente di bronzo, chi l’avesse guardato era salvo. Ebbene, Gesù salva il mondo inchiodato e innalzato in croce sul monte Calvario. E da lì fino alla fine del mondo egli resterà a braccia aperte, “perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna“. Cristo innalzato sulla croce come un condannato, agli occhi dell’evangelista Giovanni è la glorificazione, “quando sarò innalzato attirerò tutti a me”. La salvezza piena di amore che Dio intende porgere all’umanità, si identifica con la persona del Figlio che dona all’uomo la vita del mondo divino (dall’alto). Credere significa accogliere già questa vita che associa l’uomo alla stessa vita di Dio. Non credere equivale a rifiutare il dono della vita divina. La fede, elemento discriminante tra la vita e la morte, ha una caratteristica: è una scelta interiore. Credere nel Figlio significa affidarsi a lui, mettere la propria vita nelle sue mani e ricevere, in cambio, la vita eterna. “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.

Noi siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama.

Dio ha tanto amato il mondo, versetto centrale del Vangelo di Giovanni, versetto dello stupore che rinasce ogni volta, per queste parole buone come il miele, tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d’onde e aria buona respirata a pieni polmoni; parole da riassaporare ogni giorno e alle quali aggrapparci forte in tutti i passaggi della vita, in ogni caduta, in ogni notte, in ogni delusone.

Dio ha così tanto amato… e la notte di Nicodemo, e le nostre notti si illuminano. Qui possiamo rinascere. Ogni giorno. Rinascere alla fiducia, alla speranza, alla serena pace, alla voglia di amare, di lavorare e creare, di custodire e coltivare persone e talenti e creature, tutto intero il piccolo giardino che Dio ci ha affidato.

Non solo l’uomo, ma è il mondo che è amato, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione intera. E se egli ha amato la terra, anch’io la devo amare, con i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori… E se Egli ha amato il mondo e la sua bellezza fragile, allora anche tu amerai il creato come te stesso, lo amerai come il prossimo tuo: «mio prossimo è tutto ciò che vive» (Gandhi).

La rivelazione di Gesù è questa: Dio ha considerato il mondo, ogni uomo, questo mio niente cui però ha donato un cuore, più importante di se stesso. Per acquistare me ha perduto se stesso. Follia d’amore.

Dio ha amato: la bellezza di questo verbo al passato, per indicare non una speranza o una attesa, ma una sicurezza, un fatto certo, e il mondo intero ne è intriso: «il nostro guaio è che siamo immersi in un oceano d’amore, e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). Tutta la storia biblica inizia con un ‘sei amato’ e termina con un ‘amerai’ (P. Beauchamp). Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama.

Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, non dico per condannare o per pareggiare i conti, ma neppure per assolverci. La vita degli amati da Dio non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbraccio, nel paradigma della pienezza. Perché il mondo sia salvato: salvare vuol dire conservare, e nulla andrà perduto, non un sospiro, non una lacrima, non un filo d’erba; non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza, nessun gesto di cura per quanto piccolo e nascosto: Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi, non avrò vissuto invano. Se potrò alleviare il Dolore di una Vita o lenire una Pena, o aiutare un Pettirosso caduto a rientrare nel suo nido non avrò vissuto invano. (Emily Dickinson).

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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione – Questa coscienza che Dio ci ama comunque e diventa la nostra salvezza, nei momenti difficili e anche in quelli belli ed è il nostro punto di riferimento, ci appartiene oppure facciamo fatica a concretizzarla? – San Paolo ci dice che siamo chiamati a fare il bene seguendo le opere che Dio ha preparato per noi. Siamo convinti che il bene dipende più dalla grazia che dalle nostre opere? – Noi siamo Nicodemo quando? Quando vediamo i nostri figli come ci comportiamo con loro di fronte ai dubbi, alla ricerca di testimonianza…?   

 

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