Un fiore della terra nocerina
Un fiore della terra nocerina P. Costantino Smaldone, ofm La Serva di Dio Filomena Giovannina Genovese Terziaria…
Un fiore
della terra
nocerina
P. Costantino Smaldone, ofm
La Serva di Dio
Filomena Giovannina Genovese
Terziaria francescana
(prima di copertina)
Un fiore della terra nocerina, 1947
di P. Costantino Smaldone, ofm
riveduta e aggiornata
da P. Giacinto D’Angelo, 2014
Note biografiche
1835, 28 ottobre. Nasce a Nocera Inferiore (SA) da Paolo e Maria Petrosino. Il giorno dopo è battezzata con il nome di Filomena Giovannina nella parrocchia di San Matteo.
Panorama parziale di Nocera Inferiore
Verso il golfo di Napoli
1841. Riceve la prima Comunione.
1851. Ricevuta la Cresima da Mons. Agnello Giuseppe D’Auria; si consacra a Dio, a Pentecoste, con i voti privati di povertà, castità e obbedienza.
1852, 11 maggio. Muore di tifo il fratello Vincenzo, seminarista, assistito da Filomena giorno e notte. Nello stesso giorno si manifestano i primi sintomi della malattia, la còrea ( o ballo di san Vito), che l’accompagnerà fino alla morte.
1855, 28 febbraio. Alla scuola di San Francesco: entra nel Terz’Ordine Francescano ricevendo lo scapolare e il cordiglio nel convento Santa Maria degli Angeli. Intensifica la sua vita, già consacrata dai voti, con la penitenza, la sobrietà e il lavoro.
1865, 13 dicembre. Muore e, dopo cinque giorni, è tumulata nella cappella della famiglia Milano al cimitero di Nocera.
1885, 28 dicembre. E’ fatta la ricognizione della salma, trovata ancora flessibile e morbida.
1915, 4 marzo. La salma è traslata nella chiesa francescana di Santa Maria degli Angeli in Nocera Superiore.
1919, 23 luglio. Il Papa Benedetto XV firma il decreto d’introduzione della Causa per la beatificazione e canonizzazione.
1966, 19 luglio. In Congregazione, si discute in Antepreparatoria l’eroicità delle virtù.
1999, si stampa la Nova Positio. La positio super virtutibus si compone di due volumi: il primo è la riproduzione di quanto stampato fino al 1957. Il secondo (Nova Positio) contiene l’Informatio del relatore della Causa, P. Cristoforo Bove e, inoltre, la Nova informatio super vita, virtutibus et fama sanctitatis.
2015, la Positio super virtutibus sarà sottoposta alla valutazione dei Consultori Teologi per il parere, si spera positivo, sull’esperienza di vita e di virtù cristiane esercitate dalla Serva di Dio per la sua dichiarazione di Venerabile.
Un fiore tra gli sterpi
Avviene, talvolta, d’incontrare un bel fiore in una sterpaia. Alla gioia provata di fronte a quell’espressione di bellezza, che il contrasto accentua, succede la meraviglia.
Ci si domanda come mai un terreno così ostile abbia potuto alimentare un gambo così delicato, dai petali così fini. E si pensa al caso, a un’aiuola amorosamente curata, da cui abbia rubato qualche seme un soffio di vento o un’ape nell’atto di succhiare il nettare dal calice di un fiore.
Anche nel campo spirituale capita lo stesso. In un ambiente di gretti interessi terreni, di egoismi, di bassezze, sboccia un fiore di virtù, uno di quei miracoli della Grazia, che lasciano attoniti e invogliano al bene.
Un miracolo della Grazia, non un caso fortuito. E’ il Signore, il paziente coltivatore della mistica vigna, che alimenta tali fiori, proteggendoli dalle infezioni della zizzania, e irrorandoli di benedizioni celesti.
Nata in un’epoca, in cui si guardava alla fede e alla virtù come a miti di secoli passati, e norme di vita erano i dettami di una scienza positiva e materialistica, Filomena Giovannina Genovese, docile alle cure del Divino Giardiniere, spande il suo profumo dal segreto della sua vita umile e nascosta.
La sua esistenza è intessuta di bontà e di amore divino. Le sue virtù caratteristiche sono tra le più belle e le più rare: la purezza e il sacrificio, impreziosite dal nascondimento in cui furono praticate.
La potremmo raffigurare in un giglio screziato di sangue, che elevi la sua corolla odorosa verso l’azzurro del cielo. Un fiore raro, di breve durata, perché il Signore lo stacca dal gambo per trapiantarlo in cielo.
Luci dell’alba
Patria della Serva di Dio fu Nocera de’ Pagani, nell’Agro sarnese-nocerino, a metà strada tra Napoli e Salerno.
Panorama parziale di Nocerà Inferiore
La storia di questa città fiorente è ricca di avvenimenti e di vicende che fan parte della più grande storia dei Pelasgi, degli Etruschi, dei Sanniti, dei Romani, dei Longobardi, degli Svevi e degli Angioini.
Restano i ruderi di un castello edificato da Carlo I d’Angiò che fra gli altri ha ospitato Papa Urbano IV. Glorie più belle vanta la Chiesa di Nocera e Sarno nell’ambito della santità riconosciuta: i santi martiri Felice e Costanza; il primo Vescovo, San Prisco, di cui parla San Paolino di Nola nei suoi carmi; diede, forse, i natali al frate minore e vescovo di Tolosa, San Ludovico, figlio appunto di Carlo I d’Angiò, nato nel castello angioino che sovrasta la città di Nocera.
In alto castello aragonese e Convento dei Cappuccini
Fu campo preferito dell’apostolato di S. Alfonso de’ Liguori, morto e sepolto a Pagani.
Negli anni ‘30/40 del XIX secolo, burrascoso per gli eventi politici con tendenze massoniche e anticlericali (le soppressioni varie), nascono in diocesi gloriosi testimoni di Cristo e raggiungono la perfezione delle virtù cristiane: il beato Tommaso M. Fusco (Pagani, 1° dicembre 1831 – 24 febbraio 1891), fondatore delle Suore Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue; il beato Alfonso M. Fusco (Angri, 23 marzo 1839 – 6 febbraio 1910), fondatore delle Suore di S. Giovanni Battista; a Sarno, il frate minore Servo di Dio P. Berardo Atonna (Episcopio di Sarno, 1° luglio 1943 – Napoli 4 marzo 1917).
Facciata parrocchia San Matteo
A Nocera nasce nel rione Capocasale la Serva di Dio Filomena Giovannina Genovese, il 28 ottobre 1835 da Paolo e Maria Petrosino, due coniugi che alla nobiltà dei natali univano un’esemplare osservanza delle pratiche religiose.
Ottava nella nidiata di ben undici figli, Filomena dimostra già prima della nascita di essere creatura privilegiata. Nel periodo della sua gestazione, infatti, la madre, che pure aveva tanto sofferto per le precedenti gravidanze, non ebbe ad avvertire il minimo disturbo e provava come un bisogno di trattenersi più a lungo in preghiera. Il giorno seguente è battezzata da Don Andrea Villani nella parrocchia San Matteo; le fa da madrina la zia materna, Filomena, la quale dopo la cerimonia, l’affida alla Madonna del Carmine: «O Vergine Santa, siate Voi madre a questa bambina; la madre sia soltanto la sua nutrice!».
Parrocchia S. Matteo, elenco dei parroci dal 1565
«La Vergine ha accettato», pensano i familiari, i quali appunto alla protezione della Madonna ascrivevano la calma singolare della bambina, che raramente piangeva e si dimenava. :
Le eccezionali qualità della neonata sono conosciute e i vicini spesso si recano dai Genovese per vederla e accarezzarla. Una donna poi, colpita dalla sua placida angelicità e sembrandole insufficiente il tempo della visita a contemplarla, pensò bene un giorno di condursela in casa all’insaputa dei genitori!
Parrocchia S. Matteo, inerno
E quando, dopo ricerche angosciose, – mentre tutta la famiglia era in lacrime e in apprensione – una domestica di casa Genovese rintraccia la bambina e colei che l’aveva rapita mostra di non pentirsi del suo gesto. Lo trovava, anzi, naturale, perché, diceva, quell’angioletto non appartiene solo ai genitori.
Aveva solo otto mesi, quando fu presentata alla statua di Sant’Antonio – in processione nel cortile del palazzo – e la piccola Filomena si avvinghiò al suo collo e la baciò più volte. Era anche questo un presagio della futura straordinaria sua devozione verso il Santo di Padova.
E quale fu la prima parola di questa fanciulla eccezionale? La mamma spiava i movimenti delle sue tenere labbra, aspettando di sentirne sbocciare il suo nome. Invece la bambina, un giorno che sua madre più insisteva per farle sciogliere la lingua, pronunziò distintamente e più volte: «Ave, Maria». La Madonna le faceva veramente da Madre.
L’invito dello sposo
I germi di santità che la piccola Filomena recava nell’anima cominciarono a svilupparsi per tempo.
Al contrario degli altri bambini non ama giocattoli e bambole. Unico divertimento amava stringere al petto una piccola statua di Gesù Bambino e portarla in giro per farla baciare dai suoi. Ascolta rapita i racconti del Vangelo e le vite dei Santi. E una volta si presenta alla mamma abbigliata come Santa Rosa da Lima – veste scura e corona di rose – esprimendole il desiderio di essere santa.
A scuola – testimonia la maestra, la zia che l’ha tenuta a battesimo – fa prodigi. Impara bene e subito a cucire, a ricamare, a confezionare fiori artificiali. Con sempre maggiore interesse ascolta storie di Santi e lezioni catechistiche.
Il primo incontro con Gesù è ad appena sei anni nella sua parrocchia di S. Matteo: un piccolo angelo biancovestito raccolto e trasfigurato.
Parrocchia S. Matteo, inerno
La prima Comunione fu per la sua pietà ciò che l’olio è per la lampada. Da quel giorno teneva tale un atteggiamento in chiesa che quanti la osservavano, si sentivano spinti a raccogliersi in preghiera.
La pia bambina non si limitava alle sole preghiere. Compiva anche opere di carità, regalando, per esempio, la colazione al primo povero incontrato per strada. Un vero sentimento di carità, così una sera d’inverno corse in aiuto di un povero bimbo, di quattro anni, che rischiava di essere travolto dalle acque impetuose della via sottostante la sua casa. Fu un fatto eroico quello, superiore alle sue forze – una bimba di sette anni – che ha del miracoloso!
La maturità spirituale di quest’anima balza evidente dal racconto di un’operazione chirurgica dolorosissima che la Serva di Dio dovette subire: l’asportazione di un’escrescenza ossea formatasi sotto lo zigomo sinistro impedendole di masticare senza acuta sofferenza. Si sottopose ai ferri chirurgici rifiutando qualsiasi anestetico. Volle essere operata a crudo. E mentre alcune sue compagne che la assistevano, svennero alla vista del sangue che le usciva in abbondanza dalla bocca, lei non emise un lamento, contentandosi di fissare Gesù crocifisso e di meditarne la Passione.
Era felice, secondo l’espressione paolina, di compiere sul suo corpo ciò che manca alla Passione di Cristo. Le sofferenze non finirono con l’operazione, proseguirono per tutto il periodo di cura, per rimarginare la ferita, con le applicazioni del nitrato d’argento: un mese intero d’inauditi dolori, sopportati in silenzio e col sorriso sulle labbra.
Fatta degna di partecipare ai dolori di Gesù, lei sente nascere nel cuore il desiderio di ritirarsi nella solitudine, per restare sempre nella compagnia dello Sposo dell’anima sua. Nel suo entusiasmo per l’idea che le è balenata, formula il piano di andarsene su di un monte e lo comunica a una sua amica.
Montalbino a Nocera: Santuario Madonna dei Miracoli,
già eremo olivetano
Con eguale calore l’amica aderisce alla proposta e insieme, una sera, decidono di ritirarsi sulla montagna. Provvidenzialmente, all’amica venne il dubbio che il loro gesto fosse inconsiderato. E della fuga non ne fu niente.
Se non aveva potuto raggiungere la solitudine materiale, Filomena già possedeva quella spirituale. Si sentiva già distaccata da quanti la circondavano, genitori compresi, e unicamente legata a Colui che parla ai cuori, che si mantengono lontani dal frastuono,
Sempre più In alto!
Alla sua anima mancava ancora il contatto con lo Spirito Santo, che vivifica e irrobustisce. Ricevette la Santa Cresima nel 1851, mostrando, poi, una trasformazione sensibile; in particolare, una parola più ardente e persuasiva, riguardo alle cose celesti.
Effetto notevole di questo nuovo passo sulla via della pietà fu la consacrazione che di se stessa fece a Dio, con voti privati di vivere i consigli evangelici.
. Fu nel giorno di Pentecoste di quello stesso anno. Era in compagnia di altre pie giovanette, tra le quali si distingueva per il fervore particolare e per la gioia che mostrava anche all’esterno; «Il suo volto divampava da sembrare un Serafino», lasciarono scritto le amiche. Per lei fu una gran festa quella, perché con l’emissione dei voti compiva ufficialmente la sua consacrazione a Dio.
Parrocchia San Matteo: facciata
Per mantenersi costantemente nel clima spirituale delle anime privilegiate, la Serva di Dio usava i due mezzi potenti, che elevano lo spirito e tengono ubbidiente la carne: la preghiera e il lavoro.
La sua vita è una continua preghiera, perché indirizza a Dio ogni suo atto. In chiesa, in modo particolare, dà libero sfogo alla sua pietà e ritempra lo spirito nell’orazione.
Davanti a Gesù Sacramentato si estranea completamente da tutto ciò che la circonda, per cui non ode se qualcuno la chiami. Chi ebbe la fortuna di conoscerla ha lasciato detto che durante il ringraziamento alla Santa Comunione restava come in estasi e tutta accesa in volto.
Non contenta di cibarsi ogni giorno dell’Agnello Immacolato, essa prolunga e rende continua la sua unione con Gesù, mediante pii affetti e desideri.
Spesso – a volte di notte, anche con il freddo e la pioggia – si reca sulla loggetta di casa che affaccia sul lato destro della chiesa di San Matteo, per pregare più da vicino il suo Gesù, per sentirne la presenza. E se capitava di vedere la lampada al Santissimo spenta in chiesa, ne accendeva una sulla loggetta per sostituirla.
San Matteo: lato destro adiacente all’abitazione
dei Genovese
E la devozione alla Vergine? Nella pietà delle anime sante essa è inseparabile dall’amore a Gesù. La Serva di Dio ne era presa tutta. Oltre il Rosario che recitava ogni giorno e le canzoncine che faceva echeggiare per la casa, usava praticare, con digiuni e preghiere speciali, le novene precedenti a tutte le feste della Madonna.
Piazzetta lato destro di San Matteo, ove sorgeva
l’abitazione dei Genovese
Un’altra bella devozione, rara purtroppo tra i fedeli, la nutriva per l’Angelo Custode. Questo Principe di luce che Iddio mette a fianco di ognuno di noi, non era per lei un vago ricordo, ma una consolante realtà. A lui si rivolgeva nelle difficoltà e nei momenti di sconforto, per invocarne l’aiuto. La mamma testimonia che dall’Angelo Custode impetrava e otteneva l’immediato ritorno a casa di suo padre quelle volte che egli ritardava.
Di condizione agiata, Filomena non aveva bisogno del lavoro come mezzo di sostentamento. Tuttavia fu un modello di laboriosità, perché nel lavoro vedeva un’arma spirituale, un mezzo per tenere in soggezione le prave inclinazioni della carne.
Sua madre traccia il diario della giornata della Serva di Dio. Si addossava la pulizia di tutta la casa: rifaceva gli otto o nove letti della famiglia, spolverava, rassettava con una lena che non si sarebbe creduta compatibile con il suo delicato fisico .
Lavava anche la biancheria al lavatoio pubblico, per ore, sotto la pioggia o resistendo all’ardore del sole o alle sferzate del vento. E se sua madre la pregava che lasciasse fare alle domestiche e che non si esponesse alle intemperie, rispondeva di voler imitare Gesù che era vissuto da povero, lavorando nella bottega di San Giuseppe.
Ogni suo lavoro, poi, com’era naturale in quell’anima privilegiata, era nobilitato dall’intento di piacere a Dio. A una cara amica suggeriva di approfittare del lavoro per infiammarsi d’amore divino. «Ogni atto materiale, le diceva, può elevare la mente a Dio», «Mio Dio, come io spazzo la stanza, così Voi mondate l’anima mia da ogni macchia, come accendo questo fuoco, così Voi accendete il fuoco del Vostro amore nel mio cuore!».
Nel crogiuolo
Fin dalla fanciullezza la Serva di Dio mostrò grande amore alla penitenza. Col crescere degli anni crebbe in lei anche quest’amore. Oltre all’osservanza rigorosa dei digiuni e delle astinenze prescritte dalla Chiesa, usava praticare due periodi di digiuno annuale, e inoltre digiunava a pane e acqua nei sabati e nelle vigilie delle maggiori solennità.
I pasti ordinari poi erano più che frugali, a volte resi disgustosi con l’aggiunta di cenere e di succhi amari. Quando si trattava di assaggiare qualche vivanda speciale trovava un pretesto per assentarsi da tavola e non assaggiarla.
Prendeva riposo su nude tavole o addirittura sul pavimento. Il suo Direttore spirituale, Mons. Domenico Ramaschiello, attesta che doveva adoperare tutta la sua autorità per dissuaderla dal flagellarsi e dall’uso di cilizi. Anzi, esprime il dubbio che la sua morte prematura sia da attribuire appunto alle sue pratiche austere, non sapute impedire dagli altri direttori di spirito, seguiti a lui nella guida della Serva di Dio. Essa, continua Mons. Domenico Ramaschiello, parlava di flagellazione e di penitenze come si possa parlare di banchetti e di divertimenti.
Sì crede dai più che l’amore di Dio debba distruggere o almeno raffreddare l’affetto dei propri congiunti. Falso. L’amore anzi al proprio sangue si nobilita e si affina alla fiamma della santità. Filomena amava i genitori più di tutti gli altri figli, non solo pregando per essi, ma prodigandosi senza misura per la loro salute e per il decoro della casa.
Anche i fratelli erano oggetto del suo amore disinteressato. E la malattia che la colpì nel maggio del 1852, una malattia terribile che ne fece una martire, la contrasse proprio rimanendo giorno e notte, per oltre un mese, al capezzale del fratello Vincenzo, seminarista, morto di tifo. Lei ebbe la costanza di non partirsi mai dal suo fianco e l’eroico coraggio di assisterlo nella penosa agonia, e di raccoglierne l’ultimo respiro. Lo sforzo fisico e l’emozione, procuratale da quella morte prematura, ebbero ragione della sua complessione delicata.
Proprio nel giorno della morte del fratello, 11 maggio 1852, manifesta i primi sintomi, già violenti, del male, conosciuto sotto il nome di còrea, volgarmente “ballo di San Vito”.
Questa è la descrizione della malattia in un trattato di medicina: «Essa suole iniziarsi in modo brusco, in seguito a uno spavento o a un’emozione, ed è caratterizzata da movimenti i più svariati, che si manifestano senza fine e apparentemente senza alcuna causa, durante il riposo come durante l’azione; movimenti illogici, aritmici, estesi al tronco e agli arti; talora anche alla faccia e alla lingua in modo da disturbare la favella. Si ha una vera follia muscolare».
E questo male spaventoso, la Serva di Dio lo contrasse per compiere un ufficio di carità!
Durante gli attacchi del male la Serva di Dio offriva un contrasto ammirabile. Mentre il corpo era scosso dalla danza tormentosa – ed erano ore di movimenti convulsi – il suo spirito restava calmo e sereno.
Il segreto di tanta forza va ricercato nella SS. Eucarestia. Difatti dopo la Santa Comunione, che riceveva quotidianamente, avevano qualche ora di tregua quei movimenti spasmodici che poi riprendevano e duravano fino al mattino seguente. Anche perché lei stessa aveva chiesto al Signore quel tormento.
Questo risulta da una confidenza fatta a una fidatissima amica: «Gesù Cristo mi ha concesso la grazia che io ho ardentemente domandato, di soffrire la sua dolorosa Passione, cominciando dal Getsemani e terminando al Calvario». Mai un lamento. Dissimulava gli acuti dolori, assicurando i suoi di stare bene, di non soffrire per niente!
I genitori non credevano alle sue parole, né si rassegnavano a vederla patire atrocemente. Perciò, su suggerimento del medico, Filomena fu condotta a Napoli per una cura balneare. Non è a dire quanto si mostrasse sollecita del suo pudore durante i bagni, E intanto non rallentò le pratiche dei suoi esercizi di pietà. Alle passeggiate o agli svaghi, che le offriva il papà, preferiva le visite alle chiese, dove amava trattenersi davanti a Gesù Sacramentato.
La cura dovette giovarle, perché, ritornata a casa, il male andò scemando sensibilmente, fino a lasciarla del tutto dopo circa due anni.
Quell’anima santa ebbe piuttosto dispiacere della guarigione. Avrebbe preferito di continuare a soffrire per sentirsi partecipe dei dolori del suo Sposo celeste.
Alla scuola del Serafico
Non poteva abbandonare il mondo per ritirarsi in un chiostro, Filomena vive nel mondo, come separata da esso.
Per completare il suo isolamento spirituale lei, che già aveva emesso i voti pubblici di obbedienza, di povertà e di castità si ascrive al Terz’ Ordine Francescano; conferendo cosi alla sua meta l’impronta dello Spirito Serafico.
Facciata: chiesa e convento S. Maria degli Angeli
in Nocera Superiore
Non poteva abbandonare il mondo per ritirarsi in un chiostro, Filomena vive nel mondo, come separata da esso.
Per completare il suo isolamento spirituale lei, che già aveva emesso i voti privati dei consigli evangelici si ascrive al Terz’ Ordine Francescano; conferendo cosi alla sua meta l’impronta dello Spirito Serafico.
Il 28 febbraio del 1855 ricevette lo scapolare e il cordiglio dalle mani del Superiore del Convento di Santa Maria degli Angeli. In quella chiesa mistica e accogliente, divenuta già ai suoi tempi il centro della vita spirituale nocerina, la Serva di Dio si trova come nel suo ambiente.
Altare di S. Maria degli Angeli, ove riceve lo scapolare
Le è dolce recarvisi spesso, oltre che per partecipare agli incontri di Fraternità, per trattenersi più a suo agio negli esercizi di pietà.
Le sue amiche attestano che Filomena praticava scrupolosamente le prescrizioni della Regola e conformava a essa tutta la sua vita. Amante della
Interno Santa Maria degli Angeli, Nocera Superiore
povertà fin da bambina, dopo l’adesione al Terz’Ordine Francescano, ridusse l’abbigliamento a vesti scure e dimesse e a un grande scialle, che 1e copriva le spalle e la testa.
Il più consistente mutamento Filomena lo ebbe nel suo amore al prossimo. Era portata ad amare tutti in Gesù Cristo, compresi quelli che potevano esserle indifferenti. Ma fra tutti e sopra tutti prediligeva gli umili e i poveri.
In casa si moltiplicava e non risparmiava alcuna fatica pur di alleviare il lavoro delle domestiche. E alla mamma, che cercava di persuaderla a non occuparsi dei servizi casalinghi, rispondeva: «Mamma, le serve devono attendere a troppe cose. Da sole .non potrebbero arrivare!».
E i poveri? Erano il pensiero dominante. Già da bambina, a volte, aveva regalato ai ragazzi poveri la colazione e le scarpe o il grembiule e, una volta, addirittura gli orecchini. Lei riservava ai poveri le pietanze migliori e spesso interrompeva il pranzo per recarsi giù al portone di casa a distribuire elemosine. Il regalo più gradito che le si potesse fare era del danaro da dispensare ai bisognosi.
Maiolica: Madonna degli Angioli, sulla facciata del convento S. Maria degli Angeli
La sua carità andava oltre. Tra i poveri, infatti, preferiva gli ammalati. Con della pomata che preparava lei stessa, medicava le loro piaghe (spesso fetide e nauseabonde) e le fasciava con tutta delicatezza. E di tali infelici da lei accorreva una turba! Né si limitava alla sola elemosina materiale, a essi offriva anche i tesori della sua pietà, tutti confortando, ammonendoli a soffrire per amore di Dio e a tutti dava consigli illuminati e sapienti.
A volte, la mamma era preoccupata della sua prodigalità. E Filomena le faceva osservava: «Mamma, lo sapete, noi siamo gli amministratori dei poveri?».
Se la madre voleva farla contenta appieno, doveva condurla al capezzale degli infermi abbandonati e permetterle di girare per il paese in cerca di bambini poveri. Con parole piene di sapienza divina confortava e istruiva, non senza elargire agli uni e agli altri, pane, medicine e denaro.
Cappella San Francesco a S. Maria degli Angeli
Il francescanesimo lo viveva facendosi tutta a tutti, per guadagnare tutti all’amore di Cristo. E da testimonianze molteplici sappiamo che grazie alle sue preghiere, alle sue mortificazioni e alla sua opera di angelo del bene, molti peccatori ritornavano al Signore..
Chiostro S. Maria degli Angeli, particolare
Il Signore pertanto si compiaceva della sua serva e nella sua persona amava far risplendere un po’ della sua onnipotenza. Nel 1857, infatti, Filomena guarisce da tifo maligno, di sicuro esito letale, la giovane Lucia Spera, a lei legata da vincoli di sincera amicizia. Recatasi a casa di costei, dopo averle fatto coraggio e averle ispirata fiducia nella bontà di Dio, le prende il capo fra le mani comprimendolo a lungo e la assicura che non morirà. E l’inferma si ristabilisce subito completamente.
E anche di doni straordinari apparve arricchita la Serva di Dio. Dopo aver partecipato alla Messa, chiede alla madre se abbia soddisfatto al precetto, perché non sa dire chi ha celebrato, né ha avvertito i segni dell’elevazione. Evidentemente era stata rapita in estasi. E in atteggiamento estatico, innalzata un metro dal pavimento, fu veduta qualche volta in casa.
Un giorno, dichiara di veder l’immagine dell’Addolorata piangere. L’amica Esposito, accanto a lei, afferma di non veder niente. E allora «Filomena – parole dell’Esposito – prende un po’ di bambagia vergine, asciuga le lacrime della Vergine Addolorata e me la mostra tutta inzuppata».
Chiostro S. Maria degli Angeli, particolare
Ancora nel crogiuolo
Il dolore di nuovo bussa alla porta di casa Genovese: il papà, colpito da apoplessia, è ridotto all’immobilità. Filomena ne diventa subito l’amorosa infermiera e si preoccupa sopratutto dell’anima del genitore. Perciò con parole adatte lo esorta alla conformazione ai voleri divini, parlandogli dell’agonia di Gesù e dei dolori della Vergine Maria. Il vecchietto, divenuto più amabile a contatto con la sofferenza, gradisce le parole della figlia, anche perché vede che non si risparmia per alleviargli le sofferenze. E’ pronta a ogni suo cenno; si sforza di indovinarne i desideri; diligente e delicata gli somministra le medicine prescritte.
Chiostro S. Maria degli Angeli, particolare
Sopratutto ne cura lo spirito. Lo intrattiene in conversazioni spirituali, con lui recita il Santo Rosario, lo aiutai ad apparecchiarsi alla Santa Comunione o a seguire la Messa che, per indulto speciale, si celebra in casa. Questa premura squisita, oltre che dall’amore filiale, le viene da una rivelazione avuta, in cui ha saputo che il padre morrà all’improvviso.
In questo stesso periodo Filomena dimostra ancora una volta di essere stata arricchita da Dio di doni straordinari. La notte del 20 febbraio 1860, infatti, annunzia alla madre che il Vescovo, Mons. Agnello Giuseppe D’Auria, è in agonia e la esorta a pregare per lui. La madre dubita delle sue parole. All’alba, però, ode le campane suonare a morto: le parole della figlia corrispondevano a realtà.
Così pure predice lo sterminio delle famiglie di quegli infelici che, associandosi alle vessazioni dei politici, insultavano la Santa Chiesa e i suoi Ministri (a Nocera, si giunse a dare uno schiaffo in pubblico a Mons. Domenico Ramaschiello). La storia ha dimostrato poi la veridicità delle sue predizioni.
Chiostro S. Maria degli Angeli: voltine decorate
Un’altra sua predizione si doveva avverare, gettando la famiglia nel lutto, e causando a lei la ricaduta nel morbo terribile, che poi la condusse alla tomba. Dopo due anni di acute sofferenze, peraltro alleviate dalle cure amorevoli della Serva di Dio (l’abbiamo visto) papà Paolo decedeva la notte del martedì 6 aprile 1863.
La domenica precedente, solennità di Pasqua, aveva ricevuto la Santa Comunione con uno spirito di pietà davvero edificante. Avvertendo una miglioria sensibile, nel pomeriggio è condotto in carrozza a respirare un boccone di aria pura.
Il giorno seguente può venerare dal balcone di casa la statua della Madonna dei Miracoli, in processione per la città.
Il martedì, il medico curante lo trova rinvigorito di forze e assicura alla famiglia che non c’è niente da temere. La sera però avviene la catastrofe. Mentre la moglie gli preparava la cena (egli bisognoso di riposare è già a letto) il buon vecchio passa a miglior vita. E’ uno schianto indicibile. Tutti sono attorno a quel letto di morte, costernati dal dolore, quantunque già avvisati dalla predizione della Serva di Dio.
Anche Filomena sente l’acerbità del distacco e soffre, in silenzio! La natura ha il sopravvento sugli sforzi che compie la sua volontà per contenersi. E quando fa per dare l’ultimo bacio alla salma amata, si sente scossa dal tremito violento che caratterizza il suo male. Il dolore si aggiunge a dolore in quella famiglia! Qualcuno esce in parole poco riverenti alle disposizioni della volontà di Dio. E Filomena, proprio lei colpita più fieramente, esorta tutti alla rassegnazione e alla pazienza.
L’11 giugno 1864, dopo una convulsione più lunga e più violenta delle altre, la Serva di Dio
riacquista una calma straordinaria. Inoltre può parlare liberamente, dopo un lungo periodo di mutismo. La madre piange di contentezza. Filomena le confida: «Oggi dovevo morire; però per non lasciarvi senza una parola di ricordo, ho pregato il Santo di Padova, ed egli mi ha ottenuto altri sei mesi di vita».
Cappella Sant’Antonio a S. Maria degli Angeli
Richiesta perché non abbia chiesto la guarigione completa, risponde che ciò sarebbe contrario alla sua sete di patire.
La gioia non doveva durare a lungo in casa Genovese. Filomena, due mesi dopo la guarigione, perde di nuovo la favella, non può ingoiare cibi ed è presa dì nuovo dai sintomi della còrea. Inoltre, il fratello Gennaro, colpito da tifo, corre serio pericolo di vita; i medici anzi sono sfiduciati. La giovane non dispera. Si fa condurre al letto del fratello, e gli lava le mani in una catinella mentre prega con fervore. Il miglioramento è progressivo e visibile finché scompare ogni sintomo del male e l’infermo si rimette del tutto.
Al contrario la Serva di Dio è presa di nuovo da tutti gli antichi disturbi: aveva offerto la propria vita in cambio di quella del fratello e il Signore mostrava di aver gradito quell’atto di amore!
I suoi sono costernati e la pregano che almeno chieda la grazia di poter parlare e ingoiare. Difatti, la ottiene. Soffre sempre in modo indicibile. Tuttavia non perde mai la calma e il sorriso. Quando poi riceve la Santa Eucaristia, l’alimento della sua forza ammirevole, lei è esultante di gioia: sembra addirittura che non avverta le fitte di dolore, che il suo male le procura.
Il volo alle nozze eterne
La Serva di Dio si avvicina alla Patria. Il suo aspetto perde la floridezza che ha sempre conservato e si affilano le mani. Le membra tutte sono più che mai preda di scosse violente, che la Sua volontà non può minimamente impedire. Eppure conserva la calma interiore che si riflette nel suo sorriso dolce, nella parola soave, nello sguardo limpido. Tutti i suoi affetti e i suoi pensieri tendono al cielo. Spesso, ripete: «Non posso più reggere, devo unirmi al mio Dio. Bramo morire, per congiungermi al mio amato Bene».
Filomena non ha dimenticato che le restano solo sei mesi di vita. Ed è impaziente che si compiano. Perciò domanda, di frequente, il giorno e il mese. Qualcuno le domanda scherzosamente se abbia qualche debito in scadenza. E lei risponde con un sorriso misterioso. La sua impazienza giunge fino al punto di domandare una sveglia, per poter più facilmente controllare il tempo che ancora la separa dalla morte!
La madre la esorta a chiedere la guarigione alla Madonna, che l’otto settembre attraversa in processione le vie della città. Filomena risponde: «Non vedete che la Madonna fa cenno col capo: no, no?».
Il tempo stringe. La Serva di Dio vuol prendere congedo dai suoi. Il 9 dicembre, fa chiamare Lucia Spera, per darle l’ultimo addio. L’amica vorrebbe che Filomena domandasse la guarigione. «E’ volontà di Dio che viva altri tre giorni – risponde Filomena – e io ti ho fatto chiamare per rivederti l’ultima volta».
Chiostro del Convento S. Maria degli Angeli
Vuole che ì suoi cari non si partano dal suo letto, per lasciare a essi salutari ricordi e domandarne preghiere per il passo estremo. L’11 dicembre riceve la Santa Comunione in forma di Viatico con una pietà angelica. Poco dopo le è amministrata l’unzione degli infermi. L’ansia dei familiari diventa spasimo. L’ora della Serva di Dio è giunta.
Rapita in una visione di cielo, quasi che la carne non sopporti l’eccessiva gioia interiore, la sua anima cade in deliquio e si ricongiunge a Dio. Una nuova data da segnarsi nei fasti della Madre dei Santi: il 13 dicembre 1864.
Il letto di morte della Serva di Dio risplende già della luce dei miracoli. La camera ardente dove riposa la sua salma è testimone della sua apoteosi.
Il corpo è adagiato su di un catafalco, addobbato di drappi festivi. Il corpo inizia a decomporsi, per cui si ritiene di seppellirlo subito. Un fratello le intima che cessi la putrefazione. Miracolo! L’odore cadaverico cessa, e lei è ancora flessibile e fresca, al punto da mandare sangue vivo da un’incisione che vi si pratica.
Il popolo, intanto, saputo della sua morte esclama «E’ morta la santa», e la voce passa di bocca in bocca e molti si recano per ammirare l’ultima volta le sembianze di quell’angelo di bontà. E indugiano, riverenti e commossi, davanti a quella figura di Vergine dormiente: il capo adorno di una corona di fiori e il Crocefisso fra le mani. Non prega il popolo per la pace di quell’anima, ma per i propri bisogni, materiali e spirituali. E già si parla di miracoli.
Luigia Spera si vede risanata dall’artrite che da tredici mesi le immobilizza il braccio sinistro. Teresa Ruggero, che giace a letto da molto tempo, si vede risanata dal suo male, appena invocato il nome di Filomena. E qual meraviglia se due altre persone di santa vita: il sacerdote don Pietro Pepe e la Serva di Dio Maria Luisa di Gesù, vedono l’anima di Filomena ascendere al cielo, rivestita di una candida tunica, punteggiata di stelle e di un manto azzurro.
La sua immagine
Cinque giorni sono passati dalla morte della Serva di Dio e la salma non accenna a decomporsi. Il popolo continua ad affluire nella camera ardente in tale calca che non è possibile al pittore eseguire il ritratto di Filomena. Al quinto giorno, il suo volto comincia a deformarsi. Urge perciò inumarla e si rinunzia al ritratto.
Non corteo funebre fu quello che accompagnò la spoglia di Filomena al cimitero, bensì processione di tutto un popolo osannante alle virtù della Serva di Dio. Una folla Immensa che invece di pregare per la pace eterna dell’estinta, si raccomandava a lei cantando inni sacri. Si dovette anzi fare attenzione a frenare gli slanci della devozione popolare.
La salma fu tumulata nella cappella della famiglia Milano. Sembrava cosi che la Serva di Dio avesse compiuto definitivamente il suo passaggio per questa terra. Invece, mancava ancora il suo ritratto. Ebbene una notte si mostra in sogno a un suo fratello, col volto sereno, e sorridente, dai lineamenti ricomposti senza la minima traccia del gonfiore che li aveva alterati sul letto di morte. Il sogno risponde a realtà. Si decide allora di eseguire il suo ritratto dalla sua salma.
Nel trigesimo della morte il pittore Luigi Montesano da Salerno assieme ai familiari della Serva di Dio si reca al cimitero. Il cadavere, a distanza di trenta giorni dalla morte – si badi – è ancora integro, flessibile, inodoro. Basta adagiarlo su una sedia e sostenerne il capo. All’artista riesce agevole tracciarne il ritratto in breve tempo e in modo perfetto.
Non contento della sua opera, vorrebbe apportarvi qualche ritocco. All’atto di accostare il pennello alla tela, una forza misteriosa gli paralizza il braccio. Prova più volte, e sempre con l’identico risultato. Evidentemente è la Serva di Dio che soddisfatta del lavoro gli impedisce altre correzioni o abbellimenti.
Ritratto di Filomena Giovannina Genovese
con la statuetta di Sant’Antonio
Sorrisi di cielo
Filomena era vissuta umile e nascosta. Le sue virtù l’avevano trasformata in lampada di santità, destinata a illuminare le anime e guidarle sulla via della bontà. Perciò il Signore, dopo la sua morte, non la lascia nell’ombra in cui era vissuta, ma la colloca sul candelabro, affinché diffonda tutta la luce di cui è ripiena.
E in questa luce fiorisce il miracolo, che è insieme manifestazione dell’onnipotenza divina e testimonianza della santità della Serva di Dio. Fra i tanti scegliamo solo alcuni.
La signora Nobile Pisani è guarita da Filomena, a seguito della sua apparizione, e può così evitare un’operazione che si prevedeva difficile.
Lo scalpellino Matteo Pisani, alla semplice invocazione del nome della Serva di Dio, è guarito anch’egli da una grave malattia e può riprendere a lavorare dopo pochi giorni.
Il Sacerdote Francesco Fasi prega la Serva di Dio che lo guarisca da un male fastidioso agli occhi, di cui soffre fin da bambino, e ne è risanato all’istante e per sempre.
La signora Matilde D’Amato ha già ricevuto gli ultimi sacramenti, è affetta da grave anemia. Si raccomanda alla Serva di Dio e riacquista la sanità in breve tempo.
Il neonato di un farmacista, Antonio De Angelis, riacquista la vista all’applicazione sugli occhi di pannolini appartenuti alla Serva di Dìo. La bambina Giovannina Ingegnoso è liberata da paralisi. Alla signora Francesca Tarantino, Filomena, appare visibilmente e la guarisce da un favo maligno a una gamba che richiedeva l’amputazione.
Lanciando l’immagine della Serva di Dio in un fiume ingrossato dalle piogge, che minaccia di straripare, la bambina Maria Assunta D’Amato ottiene che il fiume si sgonfi e resti negli argini.
La lista potrebbe continuare. Non occorre. Basti dire che innumerevoli sono gli ex-voto (braccia, gambe, cuori) attestanti i miracoli operati dal Signore per l’intercessione della Serva di Dio, la quale ama consolare i suoi devoti specialmente con apparizioni.
Una mattina del luglio 1896, si presenta alla signora Maria Grazia Vicedomini e le chiede di poter parlare col giudice Giovanni Caruso. «Egli non può ricevere nessuno – le risponde la signora – perché deve assistere suo figlio gravemente ammalato». La Serva di Dio è riconosciuta dalla Signora ma scompare subito.
La notte seguente però le riappare e le ordina di dire al giudice che mandi olio per la sua lampada, se vuol vedere guarito il figlio. Il giudice segue il suggerimento della Vicedomini e ottiene la guarigione del suo bambino. Lo stesso bambino – miracolo si aggiunge a miracolo – nel 1906 fu guarito per una seconda volta da infezione a un braccio che richiedeva l’intervento chirurgico. La richiesta della grazia anche questa volta fu suggerita dalla stessa Serva di Dio, che si mostrò in sogno alla signorina Emilia Origlia.
Anche Carmine Granito vede in sogno Filomena che gli risana due dita della mano destra, stritolate a New York in un infortunio sul lavoro. La guardia di finanza Luca Mustacciuolo, già in agonia nell’ospedale di Cava, ottiene, in sogno una visita della Serva di Dio, che lo guarisce all’istante. La signora. Lucia D’Amico invoca la Serva di Dio, per essere liberata dal tifo e dalla bronchite, che minacciavano di condurla alla tomba. E una notte vede Filomena che la libera da ogni traccia di malattia.
Nel 1915 tale Antonia Corrado, vecchia settantaquattrenne, da Nocera, cade malamente nella sua stanza. E’ zoppa non può rialzarsi. Invoca la Serva di Dio. Questa le appare, la solleva da terra e la depone sul letto.
Teresina Bavarese soffriva di grave malattia agli occhi. I medici le diedero due fialette di collirio per curarsi. Prima di tornare a casa però, la sventurata si reca a visitare la tomba di Filomena.
La notte seguente ode dei colpi alla porta. Sua madre credendo fosse il marito panettiere, lo chiama per nome. E si ode rispondere «Sono la monaca di Nocera e vengo ad ammonirti di non applicare agli occhi di tua figlia la medicina, che altrimenti perderà la vista». Esaminato dai medici il contenuto delle fiale, era davvero pericoloso, come aveva ammonito la Serva di Dio.
Tutti questi fatti sono attestati e sottoscritti, e non si può dubitare dell’autenticità. La Serva di Dio appare, di frequente, ai suoi devoti e li libera da pericoli gravissimi.
Degno di nota è anche quanto avvenne a Domenico Marchianò di Nocera. Si recava costui una sera da Buenos Aires (era un emigrato) a Jutuzaingo sul suo carro. A un tratto fu sorpreso da un ciclone. Una pioggia torrenziale, mulinata dal vento furiosissimo, trasformò la via in un fiume, in cui i cavalli si muovevano a stento, immersi com’erano nell’acqua fino al collo. Il poveretto si rifugiò sui rami di un albero per evitare la morte. In questa situazione penosissima invoca la Serva di Dio. Essa gli appare, prende i cavalli a briglia e li guida in modo che non siano travolti dalla corrente. La visione durò fin quando non giunsero i vigili dalla città.
Più commovente è il modo tenuto dalla Serva di Dio nel difendere i suoi devoti sui campi di battaglia. Apparendo in sogno a Giovanni Pisanzio il 25 luglio 1915 gli dice: «In questa avanzata perderai il braccio sinistro; ma non morrai. Non temere; sarò al tuo fianco». Le parole si avverarono il giorno seguente.
Andrea Rainone, al fronte nel 1917, la vede per ben due volte e ne ode la promessa: «Non aver paura perché ti salverò da morte». E torna a casa incolume.
Tanti altri soldati parlano di apparizioni della Serva di Dio e affermano di essere stati salvati da cento pericoli per sua intercessione.
Piace chiudere questa serie di apparizioni e di guarigioni miracolose con un ultimo fatto davvero mirabile. Teresa De Marco, vecchia settantaduenne da Lanciano degli Abruzzi, è in fin di vita. Nessuna speranza di guarigione per lei, che già avverte nel corpo il formarsi delle piaghe purulenti. Si offre a lei un’immagine della Serva di Dio. E la vecchietta la prega non tanto della guarigione quanto di una buona morte. Dopo la preghiera si sente rinvigorita e chiede di alzarsi. I familiari non le badano, credendo si tratti di una passeggera impressione. La mattina seguente, la Serva di Dio le appare e l’aiuta a uscire dal letto. Quei di casa e i medici, accorsi dalla vecchietta, devono costatare la guarigione completa di quella morta rediviva!
Prerogativa davvero bella, questa, della nostra Serva di Dio che dimostra quanto accetta sia la preghiera al trono del Signore.
Verso la gloria
Il nome della Serva di Dio diventa, di giorno in giorno, sempre più popolare. I casi di guarigione miracolosa e di grazie d’altro genere non si contano più. Dai paesi circostanti a Nocera giungono continue richieste d’immagini della Serva di Dio. E presto nei suoi devoti sorse il desiderio di sottoporre al giudizio della Chiesa la fama delle sue virtù.
La Curia nocerina diede ascolto alle voci dell’entusiasmo popolare. Incaricò un suo rappresentante di raccogliere dichiarazioni extragiudiziali che avessero un certo rilievo – e furono ventisette – e di esaminare le reliquie della Serva di Dio.
Il Processo Informativo, avviatosi cosi bene, dové subire un arresto a causa delle difficoltà che il governo opponeva alla Chiesa nel disbrigo di ogni sua pratica.
Per le stesse ragioni non poté essere effettuata la traslazione dei resti mortali della Serva di Dio dal cimitero alla chiesa del Corpus Domini, officiata dai suoi fratelli, sacerdoti.
La Curia tuttavia non si lasciava intimidire. Il Cardinale Sanfelice, Arcivescovo di Napoli, a cui era commessa l’Amministrazione della Diocesi di Nocera, si diede premura perché il Processo giungesse rapidamente a conclusione. Il 28 dicembre 1885 fu fatta la Ricognizione del Cadavere e fu trovato ancora flessibile e morbido. Inoltre la Curia appose i sigilli al sepolcro nuovo della Serva di Dio nella Cappella Angrisani come a dimostrare di prendere sotto la sua tutela, la Spoglia benedetta.
Mons. Luigi Del Forno riprese il Processo Informativo sulle virtù e sui miracoli della Serva di Dio già nel febbraio del 1886. I lavori, però, subiscono una nuova interruzione.
Nel 1901 finalmente si fanno i primi passi presso la S. Sede. Prima il Cardinale Capecelatro, poi l’arcivescovo di Salerno, il Vescovo di Nola e numerosi altri Prelati della regione ecclesiastica salernitano-lucana chiedono al Sommo Pontefice di costituire una Commissione per l’introduzione della Causa della Serva di Dio.
Anche la città di Nocera presenta al Papa una petizione, in cui accenna all’opportunità di glorificare la Serva di Dio, mostrandola come esempio alla gioventù femminile odierna.
Il 4 marzo 1915, la venerata Salma, è traslata dal Cimitero in Santa Maria degli Angeli, o san Francesco al Campo, e collocata nella cappella laterale di Santa Valentina.
Tomba della SdD in S. Maria degli Angeli
Quel giorno si rinnovò lo spettacolo di fede e di devozione avutosi già alla morte della Serva di Dio. Una calca di popolo – cinquemila persone – stipava la chiesa e il piazzale antistante, serbando un contegno commosso ed edificante.
I nocerini gioirono intimamente nel vedere una loro concittadina fatta segno dalle premure della Madre comune. E da quel giorno visitano devotamente quel sepolcro glorioso.
Intanto il 23 luglio 1919, raccogliendo i voti dei Ministri Generali, dei Frati Minori e dei Domenicani, della cittadinanza di Nocera e di numerosi devoti, Papa Benedetto XV firmava il Decreto di Introduzione della Causa per la Beatificazione e Canonizzazione della Serva di Dio
A questo fecero seguito dal 1920 al 1928 il
Processo de non cultu e quello apostolico circa la santità e i miracoli.
Finalmente il 25 marzo 1946 si discuteva in Sessione Plenaria, presso la S. Congregazione dei Riti, il quesito circa la Validità di tutti i Processi.
Nel 1966, la Congregazione discusse in sede ante-preparatoria l’eroicità delle virtù e nel 1971 il Promotore generale della Fede consegnò le sue Animadversiones, chiedendo un voto medico sullo stato psichico della Serva di Dio: due furono i voti e tutti e due positivi a favore della Causa.
Con il felice esito della Causa si giunse alla stampa e alla presentazione di tutto il materiale raccolto sulla Serva di Dio, che è indicato come Positio super virtutibus, edito in due volumi: il primo nel 1957, il secondo è la Nova Positio (1999).
Quest’ultimo è la documentazione aggiornata sulla Serva di Dio, con la relazione del Padre Cristoforo Bove: le notizie più approfondite sulla vita, le virtù e la fama di santità e, inoltre, la presentazione critica delle relazioni scritte sulla Genovese, la storia della Causa, la vita e la spiritualità della Serva di Dio.
I prossimi passi, nell’iter del processo canonico, forse già nel corso del 2015: la Positio super virtutibus sarà sottoposta alla valutazione dei Consultori Teologi per esprimere parere positivo sull’esperienza di vita e di virtù cristiane esercitate dalla Serva di Dio per dichiararla Venerabile.
Conclusione
II desiderio unanime e ardente dei suoi devoti è di vedere Filomena Giovannina Genovese, quanto prima, adornata del titolo di Beata e infine circondata dell’aureola dei Santi, affinché la sua dolce figura possa ancora irradiare bontà e la sua potente intercessione presso Dio ottenere all’umanità tutta pace e amore!
Cappella di Santa Valentina in S. Maria degli Angeli
Preghiera
per ottenere qualche grazia e la Beatificazione della Serva di Dio:
O Trinità beata,
che faceste gioconda dimora nell’Anima
della vostra serva
Filomena Giovannina Genovese,
e che, sotto il peso della malattia e del dolore,
la conduceste soavemente
alla vetta della perfezione cristiana
per le mirabili vie della carità, dell’umiltà
della purezza e della pazienza,
glorificate questa virtuosa creatura
in mezzo alla Chiesa militante,
donandole gli onori degli altari.
Noi intanto vi preghiamo, o Beata Trinità,
di concederci la grazia,
che da Voi imploriamo
per i meriti e l’intercessione di lei,
con la viva speranza che anche questa
contribuisca a ottenere
la sua Beatificazione. Amen!
Giardino S. Maria degli Angeli: statua di San Francesco
NB. Per informazioni, preghiere, immagini ecc.
rivolgersi al Vice postulatore
P. Giacinto D’Angelo, ofm
cell. 339.8062813
c/o Convento Santa Maria degli Angeli
84014 Nocera Superiore (SA)
Stemma francescano, all’ingresso della sacrestia
in S. Maria degli Angeli
(ultima di copertina)