Il Convento

Il Convento di Santa Maria degli Angeli: Il chiostro e la sua decorazione pittorica Lungo la strada…

Il Convento di Santa Maria degli Angeli: Il chiostro e la sua decorazione pittorica

Lungo la strada di confine che separa Nocera Inferiore dal territorio dell’antica Nuceria Alfaterna, è ubicato il complesso conventuale di Santa Maria degli Angeli dei Frati Minori. 

Il convento rappresenta un rilevante tassello per comprendere le vicende storiche e culturali del territorio della Valle del Sarno, in quanto la sua edificazione oltre a costituire una fase importante per lo sviluppo dell’ordine francescano nel territorio,   rappresenta un particolare scrigno di opere artistiche ascrivibili a vari periodi storici e corrispondenti a differenti linguaggi stilistici il cui studio rende  possibile  la comprensione dell’evoluzione delle  espressioni artistiche del territorio dell’Agro.

Un piccolo scrigno che racchiude esemplificative pagine d’arte, è il chiostro, al quale si accede attraverso un angusto vano, che porta in un ambiente porticato rischiarato da una bianca luce che sottolinea la luminosità degli affreschi che decorano le pareti con brani della storia francescana, fortemente caratterizzati da un forte gusto narrativo, teso a  tessere un elogio dell’Ordine Minoritico.

Attraverso uno studio de visu degli affreschi si intuisce la complessità ideativa del ciclo, che lascia presumere la collaborazione di due artisti, il primo riconoscibile nella persona di Filippo Pennino, artefice della rappresentazione, la cui iconografia sottende una profonda cultura sacra, rendendo plausibile la possibilità dell’intervento ideativo di un secondo artista, identificabile con P. Gioacchino da Nocera, Ministro Provinciale dei Frati Minori dal 1706 al 1707 e guardiano del convento nel 1712.

 Un dato importante per ricostruire l’iter di formazione del ciclo degli affreschi, è il rinvenimento di due date, il 1706, apposta sul portone d’ingresso al convento, e il 1712, visibile in uno dei riquadri dell’ingresso. Questi ritrovamenti hanno un valore risolutivo per determinare la cronologia, in quanto rappresentano un importante termine ante quem non per datare gli affreschi.

In particolare quest’ultima data si ricollega all’anno in cui P. Gioacchino fu guardiano del convento, è pertanto possibile, che egli stesso abbia seguito il procedere della creazione, dettandone l’iconografia, il cui fine era l’esaltazione dell’Ordine Minoritico Francescano. 

A testimonianza di quanto detto, è possibile riconoscere tra i  ritratti che si alternano alle storie francescane, quello del teologo P. Gioacchino, identificabile attraverso la didascalia, “M. R. P. Gioacchino da Nocera, chiarissimo predicatore, lettore giubilato ed ex Ministro Provinciale, il quale F.F. Anno Domi i 1712”.

Inoltre, al fine di determinare l’ordine temporale del ciclo, è importante ricostruire le vicende artistiche che coinvolsero Filippo Pennino, pittore di origini beneventane, attivo negli anni dell’edificazione del chiostro, nel territorio di Salerno.

Egli fu infatti attivo a Vietri, nella Congrega del Rosario, e nel Santuario di Pagani, come testimonia un documento di pagamento del 1713, per eseguire due importanti cicli di affreschi, e in un tempo successivo, precisamente nel 1718, risulta invece documentato a Santa Maria Maggiore di Corpo di Cava.  E’ quindi probabile che in questo lasso di tempo abbia ricevuto la commissione per il ciclo di Nocera. Da quanto risulta dai documenti reperiti è evidente la maggioranza di committenze francescane e l’appoggio che riceve dall’arcivescovo di Salerno, Bonaventura Poerio, tale dato  rende  possibile affermare che l’attività del pittore fu prolifica in tutto il territorio di Salerno a partire dagli anni ’90 del Seicento, ad avvalorare quanto detto è un documento che permette di fissare una serie di interventi nella cattedrale di Salerno tra il 1690 e il 1693. 

La sequenza di affreschi che decora le alte volte incrociate del porticato del chiostro, ci restituisce un importante documento celebrativo dell’ordine francescano, attraverso la ricostruzione di episodi della vita dei Santi appartenenti all’ordine, e dei Francescani che hanno ricoperto ruoli importanti nella gerarchia ecclesiastica. 

I dipinti rispondono ad un preciso programma iconografico, adattato all’architettura del chiostro, infatti gli elementi architettonici sono sottolineati da ricche decorazioni di motivi floreali, e i racconti figurati si dispiegano lungo le pareti e le volte, incorniciati da fregi e cornici che creano particolari partiture che scandiscono lo spazio delle immagini, sottolineandone il valore didascalico.

Sulla parete di ogni campata è dipinto un episodio significativo della vita di un Santo dell’Ordine, sul lato e sul corrispondente pilastro sono stati ricavati degli ovali con la raffigurazione dei monaci Francescani che hanno rivestito importanti cariche ecclesiastiche con i rispettivi stemmi, nella parte sottostante è stata eseguita una decorazione a larghe fasce ornamentali dove sono raffigurati i cartigli che svelano gli stemmi delle nobili famiglie nocerine che ne avevano ordinato l’esecuzione accompagnati da altri, dove si leggono versi di esaltazione del Santo rappresentato, ricreando un’aura di celebrazione dell’Ordine. A tale proposito è importante sottolineare che negli anni in cui Filippo Pennino era impegnato  nella Cattedrale di Salerno, era presente anche  Pietro di Martino, che  lavorava ai ritratti degli Arcivescovi, tematica che ritorna anche nel chiostro di Santa Maria degli Angeli, e che rappresenta uno dei tratti caratteristici della sua arte, dedotta probabilmente da quest’esperienza. 

Questa serrata compagine pittorica, si svela anche nelle volte decorate da costolature dipinte che si soffermano a delineare quelle in stucco che scandiscono le vele di ogni  campata, dalle quali emergono piccoli putti adagiati su clipei dipinti, all’interno di questi si scorgono elementi simbolici, illustrati da fini didascalie.  

Il principio di ispirazione che ha guidato l’ideazione del ciclo di affreschi, ci riporta al periodo della Controriforma,  quando la Chiesa cattolica, con lo scopo di arginare le posizioni eretiche e le devianze dottrinali dovute alla Riforma protestante, rinvigorì l’ortodossia in un periodo in cui era forte la necessità di concretizzare le istanze e i fermenti di rinnovamento e di rigenerazione provenienti dall’interno del cattolicesimo.  

Infatti, la celebrazione e l’esaltazione sono le caratteristiche che maggiormente contraddistinguono il ciclo, e sembrano volere affermare la legittimità e l’importanza dell’Ordine Francescano Minoritico, così come accadde nel XIII secolo, quando la volontà di decorare la Basilica di San Francesco di Assisi testimoniava una maggiore integrazione tra francescanesimo e dottrina cristiana. 

Per meglio comprendere il principio ideologico che ha guidato il ciclo, è importante chiarirne la contestualizzazione storica, in quanto si viene ad inscrivere nel primo decennio del  Settecento, periodo caratterizzato da un clima di insicurezza politica legata all’avvento della casa d’Austria, che difendeva con vigore gli antichi e nuovi diritti dell’impero contro l’esorbitante potere della Chiesa. L’anticurialismo napoletano, che già aveva combattuto battaglie coraggiose negli ultimi decenni del Seicento, si armò di maggiore vigore avvertendo il più sicuro e saldo sostegno da parte del nuovo potere civile austriaco.

 Tale periodo storico caratterizzato da una forte contrapposizione tra potere religioso e potere regale induce la Chiesa ad agire in modo efficace ed esemplificativo sul territorio attraverso opere che possano leggittimarne il potere.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

Gli episodi descritti riguardano infatti, alcuni santi dell’Ordine Minoritico,ritratti nei momenti culminanti della loro vita spirituale, oltre ai consueti soggetti legati alla mistica francescana come il tema dell’indulgenza della Porziuncola e della Gloria dell’Immacolata, capisaldi della teologia dell’Ordine. 

 Percorrendo il chiostro dall’ingresso, i primi affreschi visibili mostrano episodi indicativi della vita di san Francesco. La lunetta del portale, non è purtroppo interamente leggibile a causa di una lacuna di pittura che ne rende impossibile la comprensione, ma da quanto è riportato nel testo del 1981 di Giovanni Cuomo, si ha notizia che fosse raffigurato oltre ai  santi Francesco e  Domenico che sostengono la chiesa, anche  san Tommaso d’Aquino che contempla estatico i due santi e intraprende a scrivere “La vita di colui che meglio in gloria di ciel si canterebbe”. Infatti, nel canto decimo primo del Paradiso della Divina Commedia, S. Tommaso commenta e onora san Francesco, considerato insieme a san Domenico come direttamente inviato dalla Provvidenza a indicare la giusta via alla comunità cristiana. Pertanto la scelta di posizionare una simile raffigurazione all’ingresso del chiostro, è tesa a suggellare la leggittimità dell’Ordine di san Francesco, nella guida delle anime, acquisendo quella funzione che corrisponde a quanto Tommaso da Celano afferma: “servi della parola di Dio accompagnano il popolo di Dio verso il banchetto nuziale in Gerusalemme”.

Sotto la volta dell’ingresso è raffigurato san Francesco in ginocchio che riceve le stimmate con lo sguardo rivolto verso il cielo dal quale dipartono i raggi di luce che feriscono le mani e il costato del santo, tale affresco non appartiene al ciclo in quanto più tardo, l’affresco precedente raffigurava un’aquila asburgica -sotto il quale dominio fu eseguito il ciclo- occultata in un secondo momento dopo  le proteste dei Liberali.

Sulla parete a sinistra dell’ingresso è raffigurata la Gloria dell’Immacolata, purtroppo attualmente poco leggibile a causa di rilevanti lacune che invadono la raffigurazione, ma un’indagine dell’iconografia è possibile attraverso le foto degli anni ’80, dove è visibile la figura della Vergine vincitrice del peccato, che sembra essere esemplata sul racconto dell’Apocalisse dove Giovanni descrive “una donna rivestita del sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle” inoltre compare anche una falce di luna al di sotto del globo simbolo della terra insidiata dal serpente ma protetta da Maria, simbolo della Chiesa.

  La questione dell’Immacolata Concezione di Maria fu sollevata dai Francescani durante la seconda metà del XV secolo, il tema è pertanto molto caro all’Ordine dei Minori,  inoltre in questo caso la scena è completata  da una schiera di santi, tra i quali se ne  riconoscono alcuni dell’ordine, quasi a voler testimoniare il riconoscimento dell’ordine francescano da parte della Chiesa, in questo caso rappresentata dall’immagine dell’Immacolata, riconoscimento suggellato tra l’altro, anche dalla presenza della Trinità.

Sulla parete destra dell’ingresso è rappresentato il Giudizio Universale, dove si riconosce sul lato sinistro un chiaro riferimento alla Gerusalemme celeste che da lo spunto di rappresentare l’ingresso del Paradiso come una grande porta, alle cui spalle si sviluppa una piccola cittadella, dalla quale filtra una bianca luce che circonfonde la Vergine, in posizione preminente è invece visibile la figura di Cristo giudice, al cui cospetto si pongono figure umane che  con atteggiamento supplice si rivolgono al cielo, in alto tre queste si scorge san Michele che regge tra le mani la bilancia guidando la schiera dei Beati, il santo è raffigurato con la lancia, una croce astile, arma con cui combatte e sconfigge il demonio, un raro motivo iconografico che difficilmente viene associato a quello della bilancia con cui pesa le anime, alle sue spalle torme di dannati fuggono precipitosi verso voragini ardenti di fuoco.

Tale raffigurazione raffrontata a quella della Gloria dell’Immacolata, acquista un tono molto forte, riportandoci alle antiche rappresentazioni, quando sulla parete frontale e sulla controfacciata erano contrapposti, il Cristo in gloria e il Giudizio Universale, simbolo di gloria e dannazione, monito per il popolo cristiano.

Nelle voltine delle campate, divise in quattro vele da costoloni di fiori e di foglie di acanto vi sono otto putti che volteggiano adagiandosi sopra i quattro clipei con all’interno simboli e didascalie che si riferiscono ai dipinti effigiati sulla parete, l’organizzazione iconografica è ripresa in modo speculare nei quattro lati del portico.

 Ogni immagine è accompagnata da una didascalia, che ne spiega e sottolinea il significato, sempre riconducibile alla cultura religiosa che caratterizza l’intero programma iconografico.

A testimonianza di quanto detto, attraverso l’osservazione della prima campata del lato ovest del chiostro, si individuano simboli della cultura religiosa, che sottolineano maggiormente il valore celebrativo dell’Ordine Minoritico proposto dagli affreschi delle pareti. Nei quattro spicchi della volta sono infatti visibili rispettivamente, un pellicano che si squarcia il petto per poter nutrire i propri piccoli, immagine divenuta simbolo del supremo sacrificio di  Gesù, nonché di pietà e carità, e ancora in un altro medaglione si scorgono uccelli che volano, un’immagine intesa come emblema dell’anima umana, e ancora in un altro ovale è raffigurata una palma, che sin dai tempi antichi è stata associata al mito del sole evocando immagini di gloria e immortalità;

Iconografie simili sono riscontrabili nelle volte di ogni campata, avvalorando maggiormente il valore didascalico del programma iconografico.

 Il ciclo continua sulla parete alla destra dell’ingresso, con l’episodio più indicativo della vita di san Pasquale Baylon, che sin da fanciullo mostrò chiaramente la pietà del suo animo con l’amore intenso per la preghiera e la particolare devozione verso l’Eucaristia, che caratterizzò poi tutta la sua vita religiosa. Nella raffigurazione, poco leggibile per rilevanti lacune che ne interrompono la narrazione, sono infatti visibili, in alto a sinistra, due angeli che innalzano la SS. Eucarestia, al centro la Madonna con un manto azzurro che indica l’Ostia sacra al santo inginocchiato con lo sguardo rivolto verso di lei.

Altro santo, su cui si sofferma la descrizione dell’artista è san Diego di Alcalà, raffigurato durante un episodio in cui mostra la sua generosa carità, che maggiormente contraddistingue la sua vita, ed è pertanto  fortemente ripresa nella sua iconografia. Il santo è infatti rappresentato mentre guarisce con l’olio della lampada che arde, un cieco e uno zoppo che si protendono verso di lui, nel contempo un miracolato bacia i piedi del santo, travolto da un impeto di fede. 

A seguire è visibile la raffigurazione di santa Coleta, che percorre la selva insieme ad una schiera di consorelle, guidate dalla Vergine, apparsa per proteggerle dai pericoli, affinché portino a termine una delle tante peregrinazioni intraprese nell’opera di riforma dei monasteri, “ma entro i boschi mentre va smarrita scorta le fa  Maria di sol vestita”.

Iniziando il percorso lungo il lato Sud la volta, esibisce cartigli che accompagnano i medaglioni dipinti, illustrando le raffigurazioni che li adornano, anche in questo caso ci si rende conto, di quanto tali raffigurazioni, esprimano i principi che guidano la vita del fedele, nell’ovale raffigurato in uno degli spicchi è visibile una colonna con capitello corinzio, dove la scritta indica “Induenti fidelis”, indicando il sostegno a colui che vi si appoggia, simbolo della religione  e del fedele, e ancora sono raffigurati una cappa da pellegrino e un bastone da viaggio “Vitae viam pendant”, riferendosi probabilmente alla raffigurazione di santa Coleta, sulla parete sottostante, e al suo continuo peregrinare.

Sulla parete attigua, è visibile la rappresentazione di san Bernardino da Siena, dove è raffigurato un angelo che sorregge il monogramma di del SS. Nome di Gesù, principale attributo iconografico del santo, il quale ne aveva propagato fortemente la sua devozione.  Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e fu diffuso in ogni luogo, infatti sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato,  il significato della creazione del monogramma è rivelata da Bernardino stesso: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo nome rammentava ogni aspetto della sua vita.   

Inoltre al centro del riquadro al di sotto della Vergine con il bambino è visibile un angelo in lotta con il diavolo dalla città di Siena, di cui sono riconoscibili i suoi palazzi e le torri, tale raffigurazione indica probabilmente la sua missione di individuare i mali della società e risvegliare la fede, iniziando il suo percorso dalla città di Siena.

Accanto è visibile il dipinto che raffigura santa Rosa, dove sono rappresentate la madre e una congiunta che pregano per la piccola Rosa gravemente malata, rivolgendo lo sguardo alla Vergine affinché interceda per la giovane, la santa aveva infatti una grave malformazione dello sterno, che la portò ad una morte precoce; al centro è poi rappresentata la Vergine che pone alla santa, vestita del saio francescano,  il Bambino Gesù.

Continuando c’è la raffigurazione di san Bonaventura, vestito della porpora cardinalizia, in quanto era stato eletto cardinale e vescovo di Albano nel 1273, il santo è rappresentato con alle sue spalle uno scaffale con alcuni libri, mentre contempla estatico il dramma dell’amore e del dolore, rappresentato dalla Vergine che tiene disteso sulle ginocchia il Figlio morto, “A Cristo estinto ed a Maria dolente volge il dottor serafico la mente e nel pregar la Madre e il caro pegno d’un dolor di quella è fatto pegno”.  Anche in questo caso si assiste ad una puntuale ripresa dell’iconografia tradizionale con la quale il santo viene  raffigurato. 

Accanto c’è la raffigurazione di Santa Chiara, rappresentata all’interno di una chiesa, indossa il saio nero e marrone dell’ordine, mentre in estasi si inginocchia al cospetto di Gesù e della Vergine, tra i quali è visibile  la croce, uno degli attributi principali della santa.

Continuando il percorso lungo il lato Est, nella volta è visibile una luminosa cometa che tocca il globo terrestre “Ima summis”  indicando il legame tra le cose terrene e celesti, il riferimento è probabilmente santa Chiara, sposa di Cristo, raffigurata nel riquadro sottostante, tale legame è sottolineato dalla raffigurazione di un ponte che congiunge le sponde distanti, “Distantia iungit”. Infine la raffigurazione dell’ape, insetto al quale molti santi vengono paragonati per la dolcezza delle loro parole e per le loro buone azioni, grazie alla caratteristica dolcezza del miele, “Lacte mellificant”, può rimandare all’immagine di Cristo e della sua clemenza nei confronti dell’uomo.

Proseguendo  c’è la raffigurazione di san Antonio da Padova, mentre accoglie tra le braccia il Bambino che a lui porge la Madonna, secondo un’ iconografia classica, riscontrabile in molti altri dipinti raffiguranti il medesimo soggetto, dedotto da uno dei suoi miracoli,  infatti in molte opere di artisti come Filippino Lippi o Gian Battista Piazzetta, si riscontra un’analoga scelta iconografica rimasta immutata nei secoli.

Sempre sullo stesso lato è raffigurata anche santa Caterina da Bologna durante la divina contemplazione del  Bambino di Betlemme sul grembo della Vergine, mentre una clarissa in ginocchio osserva estatica la scena, “Apre in coro le labbra e verso Dio tosto s’innalza Caterina a vol nell’estasi però stupor non fia mentre Gesù magnifica Maria”.

A seguire tre angeli guardano attoniti san Pietro d’Alcantara, che si flagella aspramente con un rude cilizio, mentre in alto, la Madonna rivolge lo sguardo di tenerezza verso il santo. Sulla destra si scorge invece una figura femminile di dubbia identificazione, probabilmente si tratta della tentazione a cui il santo è riuscito a desistere. Della sua vita ascetica ne lascia un’importante testimonianza santa Teresa d’Avila nella sua autobiografia raccontando quanto fossero i suoi sacrifici “incomprensibili per la mente umana.

Sempre sulla stessa parete è raffigurata santa Elisabetta d’Ungheria, vestita con l’abito francescano, nel momento in cui dispensa a piene mani monete ai poveri, rispettando l’iconografia tradizionale con la quale viene raffigurata, in quanto nonostante di nobili origini decise di dedicare la sua vita alla carità, Jacopo da Varagine ci racconta infatti che Elisabetta “Per non sentirsi troppo contenta dei privilegi di cui godeva, ogni giorno si toglieva qualcosa di quanto veniva ricevendo”.

Altro episodio importante della mistica francescana raccontato in questo ciclo, è quello dell’Indulgenza della Porziuncola, complessa vicenda documentata dal Diploma di Teobaldo, frate minore e vescovo di Assisi, emanato  dalla curia vescovile nel 1310. La vicenda narrata riguarda la richiesta avanzata da san Francesco affinché  il papa potesse concedere l’indulgenza a tutti coloro che si sarebbero presentati nella piccola chiesa della Porziuncola, “Santo padre piaccia alla vostra santità di concedermi, non anni ma anime”. 

In questo dipinto lo sfondo scelto per la visione celeste è la chiesetta di Santa Maria degli Angeli, della quale si notano alcuni elementi architettonici. E’ importante sottolineare che la chiesa di Nocera  prende il nome dalla Basilica di Santa Maria degli Angeli che sorge nella pianura che si apre ai piedi del colle di Assisi a protezione della Porrziuncola, dove San Francesco avrebbe fondato il primo nucleo dell’Ordine dei Frati Minori nel 1209 e della cappella del Transito dove il santo morì il 3 ottobre 1226; pertanto, l’espressa volontà di creare un legame tra le due, indica il desiderio di collegarla con il più grande santuario dell’Ordine, luogo testimone delle vicende spirituali del santo e del nascente Ordine Francescano. 

Nel dipinto  è raffigurata la Vergine con il figlio Gesù che regge tra le mani la croce, al centro, è visibile un angelo che regge un cartiglio con la scritta “Indulgenza Plenaria”, in basso invece san Francesco porge alla Madonna e al Cristo alcune rose del miracolo, “Francesco nelle spine in cui s’involse nate fuor di stagione le rose colse. A Cristo e a Maria portate in dono le colpe d’un mondo ottien perdono”.

La volta della prima campata del lato Nord riporta la raffigurazione della luna tra le stelle “Fulget in tenebris”, simbolo che appare nelle immagini della Vergine Maria, dispensatrice di Grazia, che esprime l’aspetto lunare legato alla dimensione della morte;  in un alto ovale è raffigurato un portale senza porta “Omnibus patet”, indicando la possibilità di entrarvi liberamente, probabilmente questa raffigurazione  è simbolo della religione cristiana per la qual tutti gli uomini sono figli di Dio, e ancora un piccolo agnello con il suo padrone ci rimanda alla raffigurazione del buon pastore, salvatore di anime “Non est decepta”, con un chiaro riferimento alla concessione dell’indulgenza ottenuta da san Francesco per tutte le  anime, garantendone la salvezza, visibile nel riquadro sottostante.

Sulla parete attigua, è raffigurato il transito di santa Chiara, riprendendo in modo puntuale un’iconografia molto diffusa,  la leggenda narra infatti che la santa  prima di morire vide una schiera di vergini, raffigurate in alto a sinistra, mentre le Clarisse accanto al suo giaciglio la assistono con la lettura di brani della Passione di Cristo, la Vergine le tiene il capo tra le mani come a volerla portare verso di sé verso quella luce dorata di cui è circonfusa.

Sullo stesso lato c’è la raffigurazione di san Giovanni da Capestrano, che non sembra corrispondere ad un’iconografia tradizionale, infatti il santo è generalmente raffigurato  in campi di battaglia con lo stendardo con il monogramma bernardiniano di Cristo Re che portò nelle sue dure lotte contro gli eretici e contro gli infedeli in veste di legato pontificio. In questa raffigurazione invece, il santo è attorniato da altri frati forse indicando la  nomina di inquisitore dei Fraticelli che gli fu offerta dal Papa, sul margine destro del riquadro è inoltre visibile uno stendardo, suo attributo iconografico, anche se in questo caso non è più visibile il monogramma di Cristo, il santo  è inoltre raffigurato affaticato e indebolito mentre rivolge lo sguardo alla Vergine, in riferimento all’impegno profuso durante i suoi lunghi viaggi. 

In abiti principeschi è invece raffigurata santa Elisabetta del Portogallo, protettrice dell’ordine secolare francescano, mentre dona la sua corona regale, “A salutar Maria per farsi avvezza del Tago il regno Elisabetta sprezzae perché in vita disprezzò corona nova fulgente in cielo Maria le dona”.

Sullo stesso lato è  rappresentato anche san Ludovico da Tolosa, con gli abiti francescani ricoperto da un ricco piviale, riprendendo l’iconografia tradizionale che unisce gli attributi francescani a quelli regali. Il santo infatti maturò il desiderio di una vita religiosa rinunciando al potere terrestre in favore del fratello Roberto per dedicarsi alla vita spirituale. Il suo amore per la povertà, il suo disprezzo per ogni fasto e vanità mondane, il rifiuto di ogni comodità, il desiderio di seguire le orme di Cristo povero, ne fanno decisamente un francescano della posizione degli “spirituali” in opposizione ai “frates communes”, che costituivano allora i movimenti contrapposti in seno all’Ordine Francescano.

Nell’ultima delle quattordici volte, ogni ovale racchiude particolari piante, delle quali ciascuna rimanda ad una particolare simbologia, tra queste si riconosce la rosa bianca “Trahunt odore nitoreque solantur”, associata all’immagine di Maria, cosi come il giglio, raffigurato in un altro ovale, anch’esso simbolo di castità  e purezza, queste ultime raffigurazioni sembrano alludere ai principi della vita francescana. 

Il ciclo commissionato a Filippo Pennino è la risposta ad una richiesta di esaltazione dell’ordine nella sua componente religiosa, pertanto era fondamentale rendere l’idea della grandezza attraverso la raffigurazione dei Santi dell’ordine e di episodi significativi delle loro vite per la celebrazione del francescanesimo, suggellando infine  il ciclo con i  ritratti delle personalità che avevano ricoperto importanti cariche ecclesiastiche succedendosi nel corso dei secoli dopo la nomina a Papa di Innocenzo IV, garante dell’integrazione tra francescanesimo e dottrina cristiana nel XIII secolo.  

E’ probabile che il ciclo si plasmi su un’idea ben precisa dal punto di vista iconologico e iconografico, ispirata da un testo di riferimento, presumibilmente identificabile con uno ritrovato tra gli scaffali della biblioteca del convento, ascrivibile al  1710 e intitolato “Il Gardino Serafico Istorico” nel quale sono riportati i “Pontefici, Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi,  ed altri prelati, che fiorirono nell’Ordine de Minori, e dal medesimo Ordine a tale eminenza di dignità furono assunti dalla Santa Roman Chiesa. L’autore degli affreschi ha senz’altro avuto un documento di riferimento per poter affrontare l’esecuzione dei ritratti, accompagnati ciascuno dallo stemma di corrispondente, che ci permette di identificare ogni singolo personaggio con un religioso citato nel testo prima menzionato. Non sono stati al momento ritrovati testi che permettano di avvalorare l’ipotesi di un riferimento per il pittore anche per quanto riguarda i ritratti, che potrebbero essere appunto ricreati sulla base di incisioni oppure potrebbero trattarsi soltanto di immagini convenzionali puramente nate da un gioco di raffigurazione fittizia. In realtà la prima ipotesi sembra essere più convincente, in quanto non è possibile escludere l’esistenza di un testo di riferimento o forse sarebbe più giusto dire di immagini di riferimento, così come è accaduto per gli stemmi ad essi corrispondenti, anche perché ogni ritratto sembra essere fortemente caratterizzato, e non fa assolutamente pensare ad immagini convenzionali. La serie di ritratti che si dipana sulle pareti del chiostro, inizia dal  vano di ingresso con quattro immagini di frati raffrontati che si alternano a brani di pittura più ampi, dei quali il primo ubicato sulla parete destra non è più visibile ma è possibile conoscerne l’identità grazie al testo di Giovanni Cuomo, che riporta interamente la didascalia: “Ad. R.P. Bonaventura/ ab Atina Praedicator G.lis/ Lector Jub.tus ex Custos et iteratus M.ster Prov.lis”; sulla stessa parete alla sinistra della raffigurazione della “Gloria dell’Immacolata”, è raffigurato un frate francescano con un cartiglio tra le mani, il cui nome non è più visibile, dato il cattivo stato di conservazione della parte inferiore dell’affresco, peraltro molto rimaneggiato, come si evince dalla scritta che sembra sovrapporsi ad una precedente, che viene però riportata per intero nel testo del 1981 prima citato: “Ad.um R.dus Ioannes Baptista ab Atina Procurator Gen.lis ex Definitor: Sec/Montis Sion Guardianus electus/ Anno 1692”; Raffrontati a questi sono visibili altri due ritratti, a sinistra del Giudizio Universale al di sotto dell’immagine si legge infatti: “A.R.P. Bonaventura Vitalianus a Tramon/ te Lector thologus ex Definitore t Custos, in toto / Regno Commissarius generalis terrae Sanctae ac Vicarius Provincialis”; nel ritratto  a destra invece la didascalia riporta: “ Ad.dum R.P. Joachim Maria a Nuceria / Lector Jub.tus et ex Min. Prov.lis /A.D. 1712”, il personaggio raffigurato viene quindi identificato con Padre Gioacchino da Nocera, custode del convento nel 1712. 

Il percorso continua con la raffigurazione dei monaci francescani che hanno eseguito importanti cariche ecclesiastiche, dove un attento studio delle didascalie e degli stemmi,  permette un parallelo con il libro il “Giardino Serafico” del 1710, rendendo possibile l’ipotesi che questo sia stato un riferimento per lo studio di alcune personalità ecclesiastiche e dei rispettivi stemmi raffigurati. In molti casi, le didascalie sono quasi illeggibili, alcuni ritratti ne sono stati totalmente privati, cosi come accade anche per gli stemmi, nonostante alcuni di questi siano ancora visibili, dando la possibilità di riconoscere i personaggi raffigurati, come accade per il ritratto di Alessandro V, visibile sul lato Nord del chiostro, con lo stemma ove campeggia “un sole d’oro  con otto raggi alternati a stelle”, e ancora sulla stessa parete si scorge il ritratto di  Sisto V, il cui stemma raffigura “un campo azzurro con un leone d’oro che tiene col destro piede un ramo nella cui sommità sono tre pere d’oro, per traverso, poi è una sbarra rossa, nella cui cima vi è una Cometa d’Oro, e nel piede tre monticelli dello stesso metallo”. Tali descrizioni degli stemmi sono riportate nel testo del 1710, e riprendono puntualmente la raffigurazione degli affreschi, avvalorando la tesi proposta.

Osservando l’orchestrazione architettonica dei dipinti e la padronanza dello spazio scenico si intuisce immediatamente l’abilità di decoratore quadraturista di Filippo Pennino, maturata durante le  esperienze vissute nel lasso di tempo che intercorre tra i due soggiorni a Benevento e a Cava. In particolare, osservando i riquadri, si legge la grande abilità dell’artista, nella realizzazione di piccoli spazi scenici dove i personaggi sembrano recitare come in una opera teatrale, scandendo lo spazio, creato attraverso architetture scorciate in profondità, e particolari effetti di sottinsù. Ogni episodio è quindi raffigurato sullo sfondo di una piccola quinta scenica, dove i personaggi descritti, con una levità di movenze  e con gesti teatrali sembrano non toccare il piano ma piuttosto spingersi in alto senza solidità trasportati da pomposi abiti che conferiscono alle figure una maggiore leggiadria, concorrendo a creare un’atmosfera irreale. Altro carattere rilevante nelle sue raffigurazioni, determinato dalla derivazione del pittoricismo giordanesco, è la predilezione per colori luminosi che permettono di costruire forme leggere colte in movimenti saettanti, rasentando la deformazione dei volti e dei corpi, caratteristica quest’ultima che crea un forte distacco dallo stile  del maestro Luca Giordano. 

Soffermandoci sulla fortuna critica di questo ciclo, è importante notare che le attribuzioni fatte in passato per gli affreschi del Chiostro, li ascrivevano all’attività  di Francesco Solimena, tale paternità è stata poi messa in dubbio in quanto venivano riscontrate similitudini nello stile con un altro artista attivo nel territorio, Michele Ricciardi, quest’ultimo infatti, aveva lavorato a Nocera per il Convento dei Verginiani di San Giovanni in Palco. Della fortuna critica di questi affreschi ne discute Giovanni Cuomo, studioso del convento di Santa Maria degli Angeli, che pubblicò il suo lavoro negli anni ’80, attraverso una lettura del libro si viene a conoscenza delle controversie riguardanti l’attribuzione del ciclo pittorico, tra coloro che affermavano la paternità di Francesco Solimena, e coloro che la confutavano avanzando l’ipotesi dell’attribuzione a Michele Ricciardi. Tale incertezza di giudizio è dovuta anche al ritardo con il quale è stata messa in risalto la personalità artistica di Filippo Pennino, la cui produzione è contraddistinta da una forte vitalità pittorica e scioltezza compositiva, spesso confusa con lo stile del Ricciardi, le opere di entrambi infatti sembra avere la stessa impronta stilistica.

BIBLIOGRAFIA

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